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domenica 14 gennaio 2018

TURISTI PER CASO


Risultati immagini per turisti per caso

La ricerca sul "cosa pensano gli Stresiani", realizzata dall'appassionato Professor Chiari, ci interroga un po' tutti su cosa siamo, cosa eravamo e dove andiamo.
In genere una comunità è difficile che si interroghi; qualche volta sono altri che la interrogano per rispondere a qualcuna di quelle domande.
Il Professore, in questo caso, va oltre e con la sensibilità del ricercatore appassionato non solo del suo lavoro, ma anche dei luoghi che interroga, coglie nel segno, si mette al nostro stesso posto e ci restituisce "formata" l'immagine di noi che la possediamo "de-formata".
Tralascio i numeri e le percentuali, sono tutti scritti nel libro del Professore e basta andare a leggerli; più stimolanti e interessanti sono invece le sue osservazioni finali, le sue "provvisorie" conclusioni.
Smarrisce il silenzio dei luoghi costruiti per essere abitati e oggi abbandonati; la "colonizzazione edilizia" degli anni 60 e 70, l'economia di allora diventata una diseconomia di oggi.
Non stupisce l'isolamento dei più, dislocati in questa lunga strisciata di terra posta tra l'acqua e i versanti e poi inerpicati su quegli stessi versanti, tanto dispersi che il senso di comunità e appartenenza si sfilaccia, si dilata e si perde.
Il silenzio dei boschi abbandonati, quello delle terre incolte che circondano i borghi e quello dei rari animali selvatici che non li popolano è la metafora degli uomini che li abitano, ma che non li vivono.
Anche il lago sembra sia divento un estraneo ed anche i giovani neppure vogliono farne l'oggetto dei giochi e degli sport estivi; una cartolina messa lì ad uso turistico, nulla di più.
Un'estraneità che qualche volta diventa soltanto contemplazione del paesaggio della natura, consolazione egoistica forse; un altro modo per non condividere una comunità o meglio il senso di una comunità, percependone soltanto l' isolamento da essa.
Per carità, ci sono anche le richieste di una maggiore socialità, di un' aggregazione auspicabile, ma se non va oltre, in attesa di un messia che non verrà mai, è un lamento che conferma quello stato.
La memoria, ormai tramandata, diventa rimpianto di fasti, veri o presunti, quasi che lì sia rimasta l'identità perduta in quegli albori del turismo durati mezzo secolo, dove popolani o borghesi che fossero sembrava partecipassero tutti all'elite di quel mondo che si affacciava sulla cittadina che scopriva e che, probabilmente, anche amava.
Il trenino che si arrampicava univa il lago e la sua montagna; la gente di lago con quella di montagna; una linea che era momento di socialità condivisa. Non è un caso che quel trenino è rimasto nell'immaginario collettivo come uno dei segni più difficili da essere cancellati, a dispetto delle decisioni prese da decisori imprudenti.
D'altro è rimasto poco: il mondo esclusivo è stato sostituito dalla banalità della ricchezza, difficile è rispecchiarsi in essa; la qualità dei turisti, dalla ricerca ansiogena della loro quantità ed è facile esserne coinvolti; l'ospitalità nella loro accoglienza dalla capacità di velocizzarne il ricambio, quasi una gara in affanno; le dimore esclusive, ruderi diffusi, peggio provocazioni volute a cui pochi si oppongono.
Se questa è la cittadina, o meglio la cittadinanza, l'identità non solo è sommersa, chiusa dentro il lungo inverno che l'avvolge, ma è sovvertita, banalizzata, ridotta a percezione individuale, a sensibilità estreme, ma culturalmente spogliata, amalgamata in un indistinto, incapace di esprime anche una rappresentanza di se stessa che le dia un governo adeguato e sensibile.


Anche noi allora diventiamo stranieri, turisti qui nati per caso.

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