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mercoledì 25 marzo 2020

PALAZZOLA: UNA SENTENZA



Pubblichiamo, in integrale, la sentenza con la quale il Tar ha deciso sulla controversia tra Regione e Comune in merito al mancato finanziamento del restauro della Villa. Nei prossimi giorni commenteremo questa sentenza abbastanza complessa e che probabilmente scontenta i più, ma che comunque dovrebbe porre un punto e a capo nella irrisolta e ormai secolare questione.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 22 del 2015, proposto dal Comune di Stresa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Teodosio Pafundi, con domicilio eletto presso il suo studio in Torino, corso Re Umberto, 27;
contro
Regione Piemonte, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Giuseppe Piccarreta, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Fondazione Onlus Villa Palazzola, non costituita in giudizio;
per l'accertamento
dell'inadempimento da parte della Regione Piemonte degli obblighi assunti con il Protocollo d'Intesa del 9.4.2004, con l'Accordo di Programma del 10.12.2004, nonché con l'atto di costituzione della Fondazione Onlus Villa Palazzola del 27.10.2004;
e per la condanna
della Regione Piemonte, in persona del Presidente della Giunta Regionale in carica, ad adempiere ai suddetti obblighi e, per l'effetto, previo eventuale stanziamento in bilancio delle somme necessarie, a corrispondere in favore della Fondazione Onlus Villa Palazzola la somma pari ad Euro 4.557.381,46, oltre interessi legali;
nonché per la condanna
della Regione Piemonte al risarcimento dei danni subiti e subendi dal Comune di Stresa – quantificati nel corso del giudizio - per effetto dell'inadempimento del Protocollo d'Intesa, dell'atto costitutivo della Fondazione e dell'Accordo di Programma.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Regione Piemonte;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 febbraio 2020 il dott. Marcello Faviere e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. In data 9.4.2004 la Regione Piemonte ed il Comune di Stresa siglavano un Protocollo d’intesa con il quale si impegnavano alla realizzazione di un programma di interventi consistenti nel restauro, recupero e valorizzazione del complesso immobiliare di proprietà civica denominato “Villa La Palazzola”. I due enti si impegnavano alla sottoscrizione di un Accordo di Programma, ai sensi dell’art. 34 del D. Lgs. n. 267/2000, che è stato sottoscritto in data 10.12.2004 e contiene la disciplina di dettaglio, le modalità e la tempistica per l’attuazione dell’intervento edilizio.

2. I sottoscrittori si impegnavano a dar vita ad un’apposita Fondazione, poi regolarmente costituita con atto del 27.10.2004, cui il Comune avrebbe conferito il predetto immobile e la Regione erogato la somma di euro 5.000.000,00 per la realizzazione delle opere oggetto dell’Accordo. Le procedure di affidamento dei lavori sarebbero state esperite proprio dalla Fondazione.

3. Il citato Accordo di Programma, distinto in due fasi (la prima per la definizione delle modalità attuative dell’intervento nel suo complesso e la seconda, definita come “appendice di carattere attuativo”, per l’approvazione dei progetti e le eventuali varianti urbanistiche) disciplinava, tra le altre cose, le modalità di erogazione delle somme messe a disposizione dalla Regione. Queste sarebbero state liquidate mediante due anticipazioni per la remunerazione delle fasi di progettazione (una per la progettazione preliminare, che la Regione avrebbe liquidato subito, e l’altra per la definitiva, su richiesta della Fondazione) ed un saldo erogato per stati di avanzamento delle opere aggiudicate (con le modalità di cui alla L.R.P. n. 18/1984). La durata complessiva dell’Accordo era pari a 10 anni decorrenti dalla pubblicazione del decreto di approvazione da parte del Sindaco (avvenuta sul B.U.R.P. n. 2 del 13.1.2005), eventualmente prorogabile solo su iniziativa delle parti mediante valutazione del Collegio di Vigilanza istituito per il monitoraggio dell’Accordo. Erano previste, infine, una scadenza intermedia per la realizzazione del progetto preliminare (fissata al 31.12.2005) nonché la contribuzione al funzionamento della fondazione, la cui entità e modalità di erogazione venivano meglio poi specificate nell’atto costitutivo della stessa.

4. Il progetto preliminare è stato approvato dai rappresentanti delle parti in data 21.09.2010. La relativa quota di anticipazione di € 250.000,00 (pari al 5% del finanziamento complessivo) era già stata liquidata nel 2007 dalla Regione.

5. La successiva progettazione definitiva è stata approvata, previa conclusione di apposita Conferenza dei Servizi, in data 25.05.2011. La Fondazione, come da previsioni negoziali, ha richiesto le relative somme. La Regione ha corrisposto l’importo nel 2012 solo a seguito di decreto ingiuntivo emesso in favore dei professionisti medesimi (dopo che a copertura di tale fase era comunque stata stanziata la somma di € 410.000 totali sin dal 2010).

6. A causa del passaggio del tempo e della non utilizzazione dei fondi stanziati, la rimanente quota del contributo è caduta in perenzione amministrativa.

7. Nel corso di svolgimento delle operazioni previste dall’Accordo, la Regione, a fronte delle richieste provenienti dal Comune di Stresa, sin dal 25.10.2011 ha iniziato a manifestare difficoltà a proseguire con l’attuazione degli impegni assunti nell’Accordo, pretendendo dettagli su pianificazione e modalità gestionali, palesando ragioni di natura finanziaria legate alla congiuntura del momento sino a chiedere, in occasione dell’incontro del 5.10.2012 del Collegio di Vigilanza (organo disciplinato dall’art. 12 dell’Accordo), la modifica delle condizioni economiche originariamente pattuite, stante l’impossibilità a stanziare nuovamente le somme perente.

8. La Regione, a fronte delle reiterate richieste di liquidazione delle somme residue da parte del Comune, articolava altresì le proprie contestazioni in base ai seguenti fatti: non sarebbe mai stata stipulata la “specifica appendice contrattuale” prevista dall’Accordo; non si sarebbero mai verificate “le condizioni per l’applicazione dell’art. 11 della l.r. 18/1984” (che prevede la liquidazione delle somme stanziate per opere a stato avanzamento lavori: 30% del contributo concesso alla stipula del contratto dei lavori; 30% del contributo previa presentazione dello stato di avanzamento emesso al raggiungimento del 30% dei lavori in contratto; 30% a presentazione dello stato finale; 10% od il minor importo necessario, a presentazione del certificato di collaudo o del certificato di regolare esecuzione, nonché del quadro economico di tutte le spese sostenute per la realizzazione dell'opera).

9. A fronte di tale situazione il Comune di Stresa, nel mese di gennaio 2015, ha proposto ricorso avanti questo TAR chiedendo, previo accertamento dell’inadempimento della Regione degli obblighi assunti con i sopra citati atti (Protocollo di Intesa, Accordo e Atto Costitutivo della Fondazione), la condanna della stessa a garantire la capienza degli stanziamenti di bilancio ed a corrispondere alla Fondazione la somma di euro 4.557.381,46 nonché il risarcimento dei danni subiti, riservandosi peraltro di chiedere la risoluzione dell’Accordo ed i relativi danni. Nel ricorso viene evidenziato che, ai danni diretti, si aggiungerebbe la perdita di un contributo di euro 500.000 che la Fondazione Cariplo aveva deliberato nel 2008 per la realizzazione dei lavori e al quale, a causa del comportamento dell’amministrazione regionale, la Fondazione ha dovuto rinunciare nel 2012.

10. In pendenza di ricorso, la Regione con delibera D.G.R. n. 1-2581 del 14.12.2015, nel nominare i propri rappresentanti in seno al C.d.A. della Fondazione ‘Villa La Palazzola’, prendeva atto che la stessa non aveva conseguito le finalità previste dall’articolo 3 dello Statuto; che, ad avvenuta scadenza decennale dell’accordo, si trovava nell’impossibilità di “perseguire lo scopo fondativo” e che, quindi, vi erano i presupposti per procedere, ai sensi dell’art. 13 dello Statuto, alla relativa estinzione.

11. Nel corso degli anni 2016-2019 i due enti hanno dato vita ad una serie di incontri per addivenire ad una soluzione bonaria della vertenza. La Regione ha proposto al Sindaco alcune bozze di accordo transattivo, riviste progressivamente anche in accoglimento delle richieste comunali. Nel corso di tali trattative le parti ipotizzavano dapprima la riduzione della partecipazione regionale nella Fondazione, in un secondo momento la soppressione della stessa e, in ultimo, il suo mantenimento in vita con l’estromissione dell’amministrazione regionale dalla compagine fondativa, lasciando il Comune come unico partecipante. In ogni caso la Regione si impegnava a liquidare una somma di euro 1.300.000,00 a titolo di “indennizzo per lo scioglimento consensuale dei suddetti accordi amministrativi in ragione delle mutate esigenze di interesse pubblico, anche al fine di garantire comunque al Comune di Stresa il perseguimento, per il tramite della Fondazione, degli obiettivi di recupero e valorizzazione del compendio immobiliare in oggetto”. Le prime ipotesi di accordo sono state anche versate in due delibere della Giunta Regionale (D.G.R. n. 33-8346 del 25.1.2019 e D.G.R. n. 24-8852 del 29.4.2019) che approvavano i relativi schemi e stanziavano le somme necessarie in bilancio. Il 24.9.2019 la Regione sollecitava un incontro per la discussione dell’ultima bozza di accordo formulata in base alle ulteriori e successive controproposte del Comune. I primi di ottobre tale definizione avviene e, di conseguenza, l’ultima proposta veniva accettata dal Sindaco di Stresa con nota del 25.10.2019, con la quale si indicava altresì un percorso di conclusione dell’iter, compreso il passaggio in Consiglio Comunale per l’approvazione dello schema di Accordo.

12. Nel frattempo, comunque, l’amministrazione comunale, in data 9.9.2019 ha depositato presso questo TAR istanza di prelievo chiedendo la fissazione dell’udienza per la decisione del ricorso.

13. Il Consiglio Comunale di Stresa, chiudendo l’iter di cui sopra, con delibera n. 60 del 13.12.2019, ha deciso di non accettare la proposta di accordo formulata dalla Regione, in quanto gli interventi di ristrutturazione e recupero funzionale del complesso immobiliare Villa Palazzola, risponderebbero tuttora ad un interesse concreto del Comune. Quest’ultimo, pertanto, prosegue con le proprie richieste di corresponsione degli originari importi previsti dagli accordi amministrativi.

14. Nel presente giudizio si è costituita la Regione Piemonte che ha prodotto documenti e memoria difensiva sui vari motivi di ricorso.

15. Anche il Comune di Stresa ha depositato ulteriore documentazione ed, in data 18.01.2020, una memoria nella quale, oltre alla conferma della condanna della Regione Piemonte a garantire la capienza dello stanziamento in bilancio ed a corrispondere la somma residua del contributo (che viene qui ridotta da euro 4.557.381,46 ad euro 4.502.995,77, oltre interessi legali dal 10.12.2014), viene quantificata la richiesta di risarcimento degli ulteriori danni subìti dal Comune di Stresa - per effetto dell’inadempimento del Protocollo d’Intesa, dell’Accordo di Programma, nonché dell’atto di costituzione della Fondazione - nella misura di Euro 4.575.992,00, oltre interessi legali fino al saldo effettivo.

16. Ha fatto seguito il deposito di memoria di replica da parte della Regione Piemonte in data 29.01.2020. Alla stessa data anche il Comune depositava memoria di replica. In data 17.02.2019 la Regione ha depositato ulteriore documentazione.

17. Infine nella pubblica udienza del 19 febbraio 2020 la causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO

1. Con il primo motivo del ricorso in epigrafe il Comune di Stresa chiede la condanna della Regione Piemonte, previo accertamento dell’inadempimento, a garantire lo stanziamento per le attività di progettazione ed esecuzione delle opere oggetto dell’Accordo e, quindi, alla corresponsione della somma di 4.557.381,46 (poi rettificata in € 4.502.995,77), oltre interessi legali. A tale petizione si giunge dopo aver puntualizzato che dal Protocollo di Intesa e dall’Accordo di Programma del 2004 la Regione si sarebbe vincolativamente obbligata a: corrispondere il contributo di euro 5.000.000,00; versare l’anticipazione del 5% per le attività di progettazione preliminare; far seguire all’accordo un’appendice contrattuale “meramente attuativa”; ricercare tutte le risorse finanziarie “aggiuntive” eventualmente necessarie per consentire l’attuazione degli interventi compresi nel progetto preliminare e, infine, a compiere tutte le azioni necessarie per consentire alla Fondazione di realizzare gli interventi oggetto dell’Accordo. Orbene, la Regione avendo versato solo le somme di euro 250.000,00 (a titolo di anticipazione del 5% sul totale della somma prevista) e euro 247.004,23 (con due mandati, pari a euro 54.385,69 ed euro 192.618,54 quale corrispettivo per le prestazioni professionali relative alla progettazione definitiva), dovrebbe versare i restanti euro 4.502.995,77 per consentire il prosieguo delle attività della Fondazione.
La Regione nella propria memoria evidenzia di aver adempiuto ai propri impegni corrispondendo le somme relative alla progettazione preliminare nonché alla progettazione definitiva. La mancata copertura delle spese relative alla progettazione esecutiva e delle opere sarebbe derivata da ragioni ad essa non imputabili, vale a dire: a) dal mancato perfezionamento della cd. Appendice Contrattuale prevista per avviare la seconda fase dell’Accordo di programma e, di conseguenza, dalla mancata realizzazione della progettazione esecutiva; b) dalla mancata aggiudicazione dei lavori e conseguente impossibilità di liquidare le restanti somme destinate all’esecuzione dell’opera ai sensi dell’art. 11 della L.R.P. n. 18/1984; c) dalle difficoltà finanziario-contabili derivanti dalla contrazione della spesa pubblica intervenuta negli anni 2011-2013 a causa della crisi economica globale, che non ha reso possibile, in considerazione della riduzione dei trasferimenti erariali, la riassegnazione a bilancio delle somme stanziate per l’Accordo di Programma ed andate in perenzione amministrativa e, di conseguenza, non ha consentito il completo adempimento della prestazione per ragioni di impossibilità sopravvenuta. Parte resistente, inoltre, eccepisce che essendo spirati, al 14.01.2015, i termini decennali di durata dell’Accordo, nessuna prestazione sarebbe dovuta in base ad un accordo scaduto.
Questo Tribunale ritiene che la domanda di accertamento dell’inadempimento possa trovare accoglimento, nei sensi e nei limiti di seguito precisati; mentre sia da respingere la domanda di condanna della Regione a garantire la capienza dello stanziamento in bilancio delle risorse necessarie ed a corrispondere alla Fondazione il contributo non ancora versato (oltre interessi).
Quanto a quest’ultima domanda, sebbene sia provato che la Regione non abbia adempiuto alla parte restante della principale delle prestazioni (versamento della quota di euro 4.502.995,77), occorre evidenziare come il diritto a tale adempimento sia venuto meno in virtù della scadenza dell’Accordo.
La durata decennale dell’Accordo, prevista all’art. 9 del testo sottoscritto, assume palesemente carattere essenziale e determinante nella complessiva dinamica interpretativa del testo e dei fatti. Da un lato, infatti, appare connaturato alla natura pubblicistica di un Accordo di Programma l’esigenza di legarne l’attuazione a tempi certi, soprattutto per esigenze di efficienza ed efficacia della allocazione delle risorse pubbliche. Lo stesso testo dell’Accordo esclude, infatti, ipotesi di prosecuzioni automatiche o semplicemente legate alla conclusione delle opere da realizzare, prevedendo la possibilità di addivenire ad una eventuale proroga solo previa valutazione del Collegio di Vigilanza (praticamente un nuovo assenso). Opzione non esercitata dalle parti in causa. La giurisprudenza ha riconosciuto in tali ipotesi “l'applicabilità dell'istituto della risoluzione di diritto tutte le volte che si sia in presenza di un'ipotesi di essenzialità soggettiva del termine e, quindi, tutte le volte in cui le parti hanno escluso il persistere dell'interesse all'esecuzione della prestazione oltre il termine indicato” (T.A.R. Puglia Bari Sez. III, 27/07/2017, n. 869).
Il carattere essenziale del termine […] va accertato, invece, anche alla stregua di specifiche ed inequivoche espressioni dell'oggetto del contratto, la cui utilità economica perseguita dalle parti andrebbe perduta a causa dell'inutile decorso del termine pattuito… il termine si deve ritenere essenziale quando la sua improrogabilità risulti dalle espressioni adoperate dai contraenti, anche senza l'uso di formule sacramentali, ovvero dalla natura e dall'oggetto del contratto, la cui utilità economica andrebbe perduta per effetto dell'inutile decorso del termine pattuito (Cons. Stato Sez. V, 29/05/2019, n. 3575).
Dall’altro lato, come in più occasioni sostenuto dalla difesa Regionale, lo scorrere del tempo ha contribuito a determinare la progressiva carenza di interesse verso l’intervento tanto che sin dal 2011 e, in modo più deciso, dagli incontri e dalle comunicazioni del 2012, appare evidente la volontà di non riassegnare le somme perente, nonché quella di rivalutare l’impegno regionale nel progetto. A ciò si aggiunga che, a qualche mese di distanza dalla scadenza dell’Accordo, con D.G.R. n. 1-2581 del 14.12.2015 la Regione, nella parte motivazionale del provvedimento, prendeva atto del venir meno dello scopo della fondazione che non aveva realizzato gli interventi per cui era stata costituita. Appare, pertanto, inequivocabile la perdita dell’utilità economica del contratto percepita con l’inutile decorso del termine medesimo.
Alle considerazioni sugli effetti estintivi dello spirare del termine finale dell’Accordo, se ne aggiungono altre scaturenti dal particolare contesto giuridico, non del tutto privatistico, all’interno del quale tali mancati adempimenti sono maturati e che rafforzano ulteriormente le considerazioni già svolte.
E’ noto che per giurisprudenza costante un Accordo di Programma si sostanzia in un “provvedimento amministrativo adottato dalle amministrazioni pubbliche e dai soggetti pubblici che vi partecipano - con esclusione quindi dei privati eventualmente coinvolti nella sua attuazione - al fine di assicurare l'azione integrata e coordinata di più amministrazioni per la realizzazione di un programma comune [..] con questo modello convenzionale l'amministrazione esercita una funzione pubblica” (C. Stato, sez. V, 16-03-2016, n. 1053). Come già evidenziato da questo Tribunale “l'immanenza del potere di revoca rende, pertanto, incompatibile con la fattispecie degli accordi tra amministrazioni l'applicazione del principio civilistico della fissità degli effetti del contratto che è destinato a recedere a fronte della inesauribilità del potere finalizzata alla cura dell'interesse pubblico. 3.3. Deve dunque ritenersi legittima la facoltà riconosciuta ad una pubblica amministrazione di recedere in via unilaterale dall'accordo sottoscritto con altre amministrazioni, sia che la predetta facoltà sia stata espressamente pattuita nell'accordo, come avvenuto nel caso di specie, sia che l'accordo nulla preveda a tal proposito. L'esercizio del potere con lo strumento organizzativo consensuale assicura la massima semplificazione dell'azione amministrativa, [..] non tollera che l'esercizio dell'autonomia collettiva da parte dell'amministrazione ed il vantaggio che ne consegue in termini di maggiore vincolatività dell'accordo rispetto al provvedimento […] possano rappresentare un limite alla piena realizzazione dell'interesse pubblico” (T.A.R. Piemonte Sez. I, Sent., 16.05.2019, n. 600). Sempre questo Tribunale ha poi riconosciuto che gli Accordi di Programma ex art. 34 L. n. 267/2000 “non hanno la natura di negozi di diritto privato, ma quella di moduli convenzionali ad oggetto pubblico attraverso i quali le Amministrazioni perseguono fini di interesse generale con i medesimi vincoli dell'attività pubblicistica "tradizionale", primo tra tutti quello di bilancio” (TAR Piemonte sez. II - Torino, 27/03/2014, n. 540).
In tali vincoli ben possono ascriversi le conseguenze della crisi economico finanziaria degli ultimi anni, qualora queste si traducano in concreti interventi di razionalizzazione delle disponibilità specifiche per investimenti.
Nel caso di specie è dimostrato che la Regione Piemonte si è vista ridurre, in conseguenza alla contrazione dei trasferimenti erariali, la capienza dei competenti titoli di bilancio di oltre il 27% (pari ad oltre 400 milioni di euro). Il richiamo alla crisi economica attuale invocato da parte resistente appare tutt’altro che vago: contrariamente a quanto sostiene parte ricorrente nel citare giurisprudenza sul punto, in questo caso non si possono addebitare alla Regione atteggiamenti paragonabili ad erronee “scelte di un operatore che si assume un rischio di impresa” (cfr. TAR Lombardia Milano, 21.05.2013, n. 1337). Le ragioni di interesse generale che sottendono l’attuazione degli Accordi di Programma sono le stesse che hanno condotto parte resistente ad una nuova prioritizzazione degli interventi da finanziare con le minori risorse a disposizione. L’Amministrazione regionale, pertanto, resta titolare di un potere discrezionale di ri-allocazione delle risorse finanziarie sulla base del nuovo e mutato contesto esterno, poiché tale nuova ponderazione degli interessi pubblici da perseguire si appalesa quale conseguenza diretta della contrazione dei trasferimenti erariali sul bilancio.
In tale contesto l’amministrazione avrebbe potuto ridurre proporzionalmente tutti gli interventi o procedere ad una nuova allocazione delle risorse. L’esclusione degli interventi non ancora “avviati”, quali quelli oggetto dell’Accordo di Programma di cui si discute, da quelli meritevoli di finanziamento rileva qui sotto due profili. Prima di tutto, appare una soluzione non illogica, nell’esercizio di poteri legittimi di cui resta titolare l’amministrazione. Anche per questa ragione la domanda di condanna a garantire la capienza dello stanziamento in bilancio, strumentale alla liquidazione della parte residua del finanziamento a favore della Fondazione, non può trovare accoglimento. Del resto il sindacato che questo Tribunale può condurre sul comportamento della Regione, quale parte contraente di un accordo di programma- mediante il quale si continua a perseguire la tutela dell’interesse pubblico - si limita a constatare la ragionevolezza e la razionalità complessiva dei comportamenti posti in essere, senza poter entrare nel merito delle scelte considerate dalla Regione meritevoli o meno di attenzione prioritaria.
In secondo luogo il rilievo dato allo stato di avanzamento delle opere da finanziare, conferma ulteriormente l’essenzialità del fattore “tempo” nel novero degli interessi delle parti. Il rispetto del termine massimo di dieci anni assume nuovamente, anche a seguito delle valutazioni gestionali della Regione, carattere dirimente e dimostra una volta di più la rilevanza soggettivamente essenziale attribuita al termine finale nel testo dell’Accordo.
Ferma restando la risoluzione di diritto dell’Accordo, si passa ora a esaminare il profilo della imputabilità dell’inadempimento. Parte resistente sostiene di: non aver liquidato le somme per l’avvio della progettazione esecutiva poiché non si sarebbe proceduto alla sottoscrizione dell’Appendice contrattuale di cui l’Accordo parla in più punti ed, in particolare, agli artt. 3 e 9; non aver potuto procedere al saldo della somma residua poiché non ricorrerebbero i presupposti di cui all’art. 11 della LRP n. 18/1984; non aver potuto adempiere alle restanti prestazioni versate nell’Accordo anche per impossibilità sopravvenuta, a seguito delle rilevanti contrazioni di bilancio dovute alla riduzione dei trasferimenti erariali a decorrere dagli esercizi 2011/2012.

Quanto al primo ordine di ragioni l’Accordo prevedeva – sebbene in un quadro negoziale a dire il vero non del tutto chiaro e lineare - che l’Appendice contrattuale aggiuntiva (di cui si parla nelle premesse, oltre che agli artt. 3 e 9), avrebbe dovuto avviare la cd. Seconda Fase mediante approvazione dei progetti preliminare e definitivo, quantificando l’ulteriore anticipazione finanziaria per la definizione delle ulteriori fasi della progettazione (definitiva ed esecutiva) ed adottare eventuali varianti urbanistiche. Orbene questa Appendice contrattuale non è mai stata formalmente sottoscritta, anche se la Fondazione ha proceduto all’affidamento della progettazione definitiva e la Regione al relativo pagamento (anche se a seguito dell’emissione di decreto ingiuntivo da parte dei professionisti incaricati). In giudizio nulla si dice dei tentativi del Comune o della Fondazione di addivenire alla stipula della citata Appendice né sono circolate o sono state scambiate bozze. Nei fatti è provato solo che la Fondazione, dopo l’approvazione della progettazione definitiva, abbia proceduto a richiedere l’ulteriore anticipazione e che le parti abbiano, comunque, tentato di avviare la seconda fase dell’Accordo bloccata, di fatto, dalla sopravvenuta indisponibilità delle somme stanziate a bilancio.

Quanto al secondo motivo, è palese che l’amministrazione regionale non abbia potuto procedere al saldo della somma residua poiché, ai sensi dell’art. 11 della LRP n. 18/1984, la relativa liquidazione avrebbe dovuto procedere per stati di avanzamento di lavori che non sono mai stati aggiudicati. Sul punto è priva di pregio la pretesa di parte ricorrente di riconoscere un obbligo incondizionato, in capo alla Regione, di trasferire l’intero contributo e, di conseguenza, anche il saldo che ne rimaneva al netto delle anticipazioni versate. Il Protocollo di intesa, infatti, al punto 3 condiziona tale prestazione alla stipula dell’Accordo e rinvia al contenuto di quest’ultimo la definizione delle modalità attuative ed i conseguenti adempimenti attribuibili a carico di ciascuna delle parti. L’Accordo di programma, quindi, condiziona in maniera inequivocabile l’esigibilità del contributo (in particolare del saldo al netto delle anticipazioni) alle procedure liquidatorie di cui all’art. 11 della LRP n. 18/1984, che presuppongono l’aggiudicazione delle opere. L’esigibilità della parte residua del contributo, pertanto, risulta vincolata ai presupposti, oltre che alle modalità, indicati nell’Accordo che non si sono realizzati.
A ciò si aggiungano gli effetti della terza motivazione, vale a dire l’impossibilità sopravvenuta scaturente dalle contrazioni di bilancio, su cui si è già argomentato e si tornerà in seguito; al momento basti evidenziare che, quanto meno parzialmente, hanno credibilmente impedito l’esatto adempimento delle prestazioni versate nell’Accordo.
Da quanto delineato emerge, da un lato, un quadro di parziali inadempimenti di non chiara ed univoca imputabilità poiché riconducibili al concorso di entrambe le parti alla mancata realizzazione dei presupposti previsti dall’Accordo; dall’altro una parziale impossibilità sopravvenuta che porta ad escludere la piena imputabilità alla Regione del mancato, esatto adempimento.
Concludendo, sul primo punto, va dichiarato che l’inadempimento delle prestazioni oggetto dell’Accordo di Programma è imputabile solo parzialmente all’amministrazione regionale, non sussistendo comunque, visto lo spirare dei termini finali dell’Accordo e l’estinguersi di tutti i suoi effetti obbligatori, il diritto di parte resistente ad una condanna a garantire lo stanziamento delle risorse necessarie per corrispondere alla Fondazione il contributo non ancora versato.

2. Quanto al secondo motivo di ricorso, vale a dire la richiesta di risarcimento dei danni subiti dal Comune, questo Collegio ritiene che, stante l’inadempimento imputabile parzialmente alla Regione, questa possa essere accolta, seppure con i necessari temperamenti, in punto di quantificazione, che si illustrano di seguito.
A tale scopo occorre considerare tre elementi fondanti la pretesa: la natura del danno vantato, la parziale impossibilità sopravvenuta delle prestazioni, il concorso del Comune nella determinazione del danno.
Partendo dal primo punto si evidenzia che parte ricorrente chiede la corresponsione di una somma pari al valore dell’immobile (stimato in euro 5.580.000,00) o alla minor somma che dovesse ritenersi equa, per il mancato sfruttamento dello stesso e la mancata destinazione ad altre attività di pubblico interesse (cd. danno da sottrazione del valore d’uso). Nella memoria depositata il 18.01.2020, il Comune precisa che il pregiudizio patrimoniale sarebbe in re ipsa e quantifica il danno in euro 4.196.160,00 (poi rettificato in euro 4.185.000,00), applicando analogicamente il metodo di calcolo previsto all’art. 42-bis, comma 3, del DPR 8.06.2001, n. 327 che così recita: “Salvi i casi in cui la legge disponga altrimenti, l'indennizzo per il pregiudizio patrimoniale di cui al comma 1 è determinato in misura corrispondente al valore venale del bene utilizzato per scopi di pubblica utilità e, se l'occupazione riguarda un terreno edificabile, sulla base delle disposizioni dell'articolo 37, commi 3, 4, 5, 6 e 7. Per il periodo di occupazione senza titolo è computato a titolo risarcitorio, se dagli atti del procedimento non risulta la prova di una diversa entità del danno, l'interesse del cinque per cento annuo sul valore determinato ai sensi del presente comma”.
Questo Collegio condivide in parte tale ricostruzione.
L’amministrazione comunale qualifica il danno vantato come in re ipsa. La giurisprudenza amministrativa, anche se in maniera non univoca, ha recentemente riconosciuto la possibilità di un danno in re ipsa in caso di sottrazione e lesione del godimento di un bene nei casi di occupazione illegittima da parte della pubblica amministrazione, pretendendo quindi, quale presupposto giuridico, la presenza di un illecito permanente. A fondamento di tale ricostruzione ha riconosciuto la necessità che oggetto “immediato” di tale comportamento illecito e lesivo della pubblica amministrazione debba essere la facoltà di godimento del bene inerente il diritto di proprietà, cioè una parte del contenuto tipico di tale diritto, non altri poteri di impiego e disposizione (cfr. Cons. Stato Sez. IV, 27.5.2019, n. 3428).
Orbene, nella fattispecie in esame, tale collegamento diretto tra condotta della resistente e facoltà di godimento del diritto di proprietà del Comune sussiste. In questo particolare caso, il danno subito dal titolare del diritto viene a coincidere con un evento contrario agli assetti di interessi cristallizzati nell’Accordo e ne è conseguenza diretta. È evidente, dalla ricostruzione dei fatti in causa che il cespite patrimoniale sia stato inutilmente trattenuto in una situazione di indisponibilità giuridica poiché destinato agli scopi fondativi. L’inadempimento Regionale, non avendo consentito la realizzazione degli scopi fondativi, ha direttamente inciso sull’infruttuoso permanere di tale destinazione.

Passando al secondo profilo, vale a dire la valutazione della parziale impossibilità sopravvenuta, si è accennato al fatto che l’inadempimento regionale delle prestazioni versate nell’Accordo possa essere effettivamente ascritto alle difficoltà economiche e finanziarie lamentate da quest’ultima e derivanti dagli obblighi di contrazione della spesa imposti da interventi normativi statali. In particolare: a) dal D.L. 31 maggio 2010, n. 78 "Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività' economica", convertito con modificazioni dalla L. 30 luglio 2010, n. 122, (che ha imposto alle Regioni a statuto ordinario di concorrere alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica per il triennio 2011-2013, in termini di fabbisogno e indebitamento netto, nella misura di 4.000 milioni di euro per l’anno 2011 e per 4.500 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2012); b) dalla Legge 12 novembre 2011, n. 183 "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di Stabilita' 2012)”, che ha ridotto la percentuale limite per la contrazione di nuovo indebitamento.
In sostanza la Regione Piemonte ha potuto contare su un livello di trasferimenti erariali inferiore che ha contratto strutturalmente il bilancio per circa 450 milioni di euro annui a partire dal 2012. Un quadro ben diverso da quello che si presentava nel 2004 quando gli atti di cui si chiede l’adempimento erano stati sottoscritti. La difesa regionale ha, infatti, dimostrato come sui competenti Titoli di Bilancio si sia passati dallo stanziamento di 1.581,73 milioni di euro previsti per il 2008 a 1.160,97 milioni di euro nel 2018, passando da una media di 1.522,52 (nel periodo 2008/2010) ad una di 1.103,59 milioni di euro (nel periodo 2011/2018). La riduzione annua media è pari al 27,52% (corrispondente a circa 418 milioni).
Ai soli scopi di giungere alla individuazione dei criteri di determinazione del danno appare plausibile ritenere che la ridotta capacità di investimento della Regione possa fornire un utile criterio per stabilire l’incidenza di tale impossibilità sull’ammontare complessivo dei danni quantificabili.

Quanto al terzo ed ultimo profilo è innegabile che il comportamento che parte ricorrente ha mantenuto, soprattutto nel periodo più recente che va dagli anni 2012 al 2017 e, in maniera più intensa, dal 2018 al 2019, abbia inevitabilmente concorso a determinare l’entità dei danni vantati.
Sin dagli anni 2011-2012 la Regione ha tentato di sospendere l’attuazione dell’Accordo e rivederne gli impegni finanziari. Questi tentativi si sono evoluti, dopo la proposizione del ricorso avanti questo Tribunale, in una concreta trattativa per giungere ad una soluzione bonaria della controversia. Come sopra riportato, la Regione ha proposto al Comune alcune bozze di accordo transattivo, riviste più volte anche in accoglimento delle repliche comunali, che prevedevano dapprima la riduzione della partecipazione regionale nella fondazione, in un secondo momento la soppressione della stessa e, in ultimo, il suo mantenimento in vita con la definitiva estromissione dell’amministrazione regionale dalla compagine fondativa.
Con l’evolversi delle trattative, quindi, il Comune sarebbe potuto divenire l’unico partecipante della Fondazione (mediante il recesso della Regione Piemonte). Contestualmente la Regione avrebbe versato la somma di euro 1.300.000,00 a titolo di indennizzo per lo scioglimento degli accordi amministrativi (in particolare il Protocollo di intesa) ed al fine di garantire al Comune, per il tramite della Fondazione, il perseguimento degli obiettivi di recupero e valorizzazione del compendio immobiliare. Attraverso l’Accordo il Comune sarebbe rientrato nella disponibilità sostanzialmente piena del bene e la Fondazione avrebbe ottenuto disponibilità, seppur limitata rispetto alle previsioni iniziali, di capitale utile per perseguire i propri scopi. Ipotesi di accordo che, peraltro, il Sindaco del Comune sembrava aver accettato dal momento che, con nota del 25.10.2019, comunicava alla parte resistente di concordare con il testo proposto in occasione di un incontro svolto in data 2 ottobre e precisava quali sarebbero stati i passaggi per perfezionarne l’approvazione. Come già riportato in punto di fatto, però, il Consiglio Comunale, dopo che la difesa dell’amministrazione, nel mese di settembre, proponeva istanza di prelievo avanti questo TAR, con la citata delibera del 30.11.2019 rigettava la proposta di accordo. Questa serie di comportamenti non univoci protratti nel tempo ha concorso a determinare la situazione di pregiudizio lamentata dall’amministrazione comunale che avrebbe potuto riacquisire, di fatto, la disponibilità dell’immobile (oltre ad avere liquidità per effettuare investimenti) quantomeno dal 2018.
Parte ricorrente richiede, altresì, il risarcimento di tutte le spese sostenute per il mantenimento della Fondazione e che, a causa del mancato versamento dell’intero contributo di cinque milioni da parte della Regione, sarebbero state inutili dato che la Fondazione non ha potuto svolgere i propri compiti istituzionali. La somma calcolata dalla ricorrente ammonta ad euro 390.992,00, per il periodo 2005/2019. Questo Collegio ritiene che per tale voce di danno non possano essere applicate le considerazioni sopra svolte in quanto, lungi dall’essere qualificabile come danno evento, non è diretta conseguenza dell’inadempimento regionale. Tali spese, infatti, sarebbero dovute essere sostenute ugualmente ed indipendentemente dalla condotta di parte resistente. Tale domanda, pertanto, non può essere accolta.
Tutto ciò premesso questo Collegio, nel ritenere la possibilità di un accordo tra le parti altamente improbabile, in considerazione dell’atteggiamento tenuto, soprattutto da parte della ricorrente, adotta i seguenti criteri di quantificazione: a) il valore di partenza è quello d’uso del bene che può quantificarsi, con valutazione equitativa ai sensi dell’art. 1226 c.c., nell’interesse del cinque percento annuo (su una base di quindici anni, dal momento della istituzione del vincolo di destinazione) sul valore venale del bene (valutato in euro 5.580.000,00, come da stima depositata in atti e non contestata dalle parti) in linea con i parametri già applicati dalla giurisprudenza amministrativa in casi analoghi; tale valore ammonta ad euro 4.185.000,00; b) il valore d’uso deve essere abbattuto della quota di prestazione divenuta impossibile per cause non imputabili alla Regione, e che può essere riconosciuta in quel 27,52% di contrazione media degli stanziamenti del pertinente titolo del bilancio regionale dimostrati da parte resistente (euro 1.151.712,00); d) ulteriore abbattimento grava sul valore d’uso a causa del concorso dell’amministrazione comunale al formarsi del danno ed al suo perdurare, per le ragioni sopra esposte, e che può essere parametrato ai sette anni trascorsi senza che l’amministrazione Comunale abbia considerato le chiare difficoltà finanziarie regionali sino a giungere ad inutili trattative e proposte di accordo più volte formulate, prima accettate e poi rinnegate; partendo sempre dalla base di quindici anni su cui distribuire il valore d’uso, l’incidenza dei sette anni costituenti l’abbattimento ammonta ad euro 1.953.000,00.
Applicando i criteri in parola, pertanto, questo Collegio accoglie la domanda di risarcimento del danno e lo quantifica in euro 1.080.000,00, oltre interessi legali dalla data della notifica del ricorso alla data del saldo effettivo. Con l’ulteriore precisazione che, non vi è riferimento nel presente computo al perduto finanziamento della Fondazione Cariplo in quanto estraneo alla voce di danno riconosciuta con la presente pronuncia.

3. Le spese seguono la parziale soccombenza e sono poste a carico di parte resistente.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:
Accerta l’inadempimento imputabile alla regione Piemonte; respinge la domanda di condanna a garantire la capienza dello stanziamento in bilancio delle risorse necessarie ed a corrispondere alla Fondazione Onlus “Villa Palazzola” il contributo non ancora versato e previsto dagli accordi amministrativi sottoscritti tra le parti;
Accoglie la domanda di risarcimento danni formulata e condanna la Regione Piemonte a corrispondere al Comune di Stresa la somma di euro 1.080.000,00 (un milione e ottantamila/00) oltre interessi legali dalla data della notifica del ricorso sino alla data del saldo effettivo.
Condanna parte resistente al pagamento delle spese del giudizio in favore della ricorrente nella misura di euro 5.000,00 (cinquemila/00), oltre gli accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
 
Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 19 febbraio 2020 con l'intervento dei magistrati:
Carlo Testori, Presidente
Silvia Cattaneo, Consigliere
Marcello Faviere, Referendario, Estensore







L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
Marcello Faviere
Carlo Testori














IL SEGRETARIO

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