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venerdì 8 marzo 2019

INTERMEZZO II PARTE

II PARTE


Quella mattina era dunque iniziata tardi, complice la baruffa della sera precedente; l’ora fissata per la partenza lasciava ampio margine di tempo per fare tutti i preparativi in assoluta calma.
Anche il meteo non invogliava di certo ad uscire: quel solito tempo incerto, più propenso a “minacciare“ ancora la caduta di un po’ di neve che a promettere che il cielo si sarebbe sgomberato dalla coltre di nubi che lo coprivano.
Se non ci fosse stata la partenza di mezzo e quella maledetta litigata, forse la giornata avrebbe potuto diventare quella giusta per passarla tutta dentro le mura dell’appartamento, ma bisognava partire e questo troncava qualsiasi altro progetto.
Lentamente, comunque, prima Martina, poi e anche più lentamente Curt, ciascuno ignorando la presenza dell’altro si erano alla fine decisi di alzarsi. Ciascuno si era attardato nel proprio bagno personale più a lungo del solito, Curt ne era uscito per primo, andando poi in cucina a preparasi un caffè.
A differenza di altre volte non aveva dato la voce a Martina, non le aveva chiesto se mai volesse che le preparasse qualche cosa per la colazione, l’aveva ignorata come se non ci fosse. Martina l’ aveva notato. Lei aveva indugiato ad uscire dal bagno; si sarebbe aspettata una qualche parola da parte di Curt: le avesse dato anche soltanto un mezzo saluto, le avesse domandato di prepararle qualche cosa per la colazione. No, non era arrivato alcun segnale. Curt era rimasto in assoluto mutismo; ad un certo punto aveva acceso la radio cercando un notiziario sulle previsioni meteo e dopo averle ascoltate l’aveva lasciata accesa sul medesimo canale che trasmetteva una rubrica su di un argomento che certamente non gli era di alcun interesse.
Che dunque quella mattina non avesse alcuna voglia di rompere per primo il silenzio, questo dovette essere subito chiaro a Martina che, indugiando ancora un poco nel bagno, cercava di farsene una ragione, chiedendosi se forse non sarebbe stato meglio essere lei a muovere il primo tentativo.
Quando uscì un tentativo lo fece avvicinandosi a Curt che nel frattempo aveva finito di consumare il caffè, sussurrandogli un saluto. Non parve infastidito, neppure apparve entusiasta, piuttosto indifferente, anche se in qualche modo ricambiò quel saluto accennando un appena pronunciato: “buon giorno”.
Anche Martina si mise al fornello per prepararsi un tè che forse, nelle sue intenzioni, avrebbe potuto riscaldare un poco l’inizio gelido di quella giornata.
Così, piano piano, la vita sembrava rimettersi in moto dentro l’ambiente protetto di quel bell’appartamento; senza scosse, silenziosamente, persino si sarebbe detto rispettosamente.
Terminate le due parche e separate colazioni, Martina si prendeva l’onere comune di riordinare la piccola cucina; Curt incominciava a riporre nel suo capace trolley i propri indumenti, con cura, con attenzione, senza apparente fretta. Ogni tanto chiedeva a Martina dove mai fosse qualche cosa che non trovava. In queste circostanze sembrava impazientirsi, infastidito dalle risposte di Martina che si limitava a dire di averli visti lì. Quel “lì” non sembrava proprio sopportarlo, tuttavia alla fine trovava sempre le cose che aveva smarrito e la collera che saliva si placava.
Martina non pareva voler condividere i preparativi dei bagagli. Ognuno aveva i propri e anche se la camera era in comune, era più propensa attendere che Curt terminasse di preparare i suoi. Così fece, ingannando il tempo con l’attardarsi in bagno.
La voce di Curt che improvvisamente disse: “scendo a caricare la macchina”, seguita dal rumore secco della porta di ingresso, la indusse però ad affrettarsi e, impossessatasi della camera rimasta libera si accinse, a sua volta, a preparare il trolley. Non impiegò molto tempo, voleva fare tutto prima che Curt tornasse così che non avesse nulla da dire e di cui lamentarsi.
Sapeva che era meticoloso, preciso, insofferente, che non tollerava ritardi quando erano degli altri e visto come la mattina era iniziata, la cosa migliore era non dare alcun pretesto o occasione per una sua qualche reazione.
Di buono c’era che quella mattina era iniziata tardi, il tempo stava passando veloce e la permanenza nell’appartamento non sarebbe durata più a lungo. Tutto ciò rendeva più sopportabile la situazione per Martina a cui l’idea che presto sarebbero usciti in mezzo alla gente, ripercorso ancora una volta il solito passeggio e che si sarebbero fermati in un bar in attesa della partenza, non dispiaceva. Avrebbe evitato un contatto troppo diretto con il suo compagno, cosa che riteneva utile per ricondurre a normalità il loro rapporto.
Di nuovo lo sbattere di una porta, quella di entrata, richiusa dopo che era stata aperta senza nessun preavviso. Martina avrebbe voluto dire qualche cosa, far notare che forse non era il modo migliore per irrompere in casa, ma si trattenne.
“Sei pronta? Hai preparato il trolley? Curt non aggiunse neanche una parola in più mentre si dirigeva in bagno. Il lavarsi sempre le mani, dopo che le aveva usate per qualunque cosa, era anche questa una sua abitudine, quasi una mania, cui difficilmente si sottraeva. Martina rimase un attimo ancora in silenzio... perplessa; si sarebbe aspettata qualche altra parola, invece soltanto quella brevissima richiesta, fosse stata lei l’oggetto da caricare sulla macchina.
Ora Curt sembrava avere molta fretta. Uscito dal bagno si guardò intorno come cercasse il trolley. “ Non è ancora pronto? dov’è ?… facciamo in fretta...dai.”
Cosa mai fosse successo da dover accelerare in quel modo i preparativi per la partenza, questo non era ben chiaro. In realtà non era successo proprio nulla e il tempo a disposizione era ancora molto ampio da non giustificare la fretta che sembrava essersi impossessata di Curt. Martina comunque voleva mantenere fermo l’impegno che si era presa con se stessa di evitare ogni possibile occasione che potesse far innervosire ancora di più il suo compagno. Rispose che il trolley era pronto e che se volesse lo caricasse pure sulla macchina.
Curt, rapidissimo, lo prelevò dalla camera e uscì nuovamente, sbattendo la porta. Martina ne approfittò per prepararsi a lasciare l’appartamento.
L’abbigliamento che aveva scelto era quello abituale del dopo sci, ingentilito da un qualche accessorio; questi ultimi erano prodotti di bigiotteria, adeguati a quel tipo di vacanza, facevano comunque una bella figura senza che fossero di valore; una preoccupazione in meno durante il soggiorno, quella di non dover occuparsi della loro custodia.
Martina lo seguì, non pensava che sarebbe risalito; stante l’ora, il passaggio al bar sarebbe stato più che opportuno.
L’auto, una Porsche coupé, era nel parcheggio della palazzina; nonostante le condizioni stradali e quelle meteorologiche, era tirata sorprendentemente a lucido. Curt aveva avuto il tempo di andare alla stazione di autolavaggio. La cosa non sarebbe servita più di tanto, pochi chilometri di percorso e l’auto sarebbe ritornata nelle condizioni appena precedenti, ma Curt era così, era preciso, ripetitivo, un perfezionista; non avrebbe sopportato di partire con la macchina che non fosse stata in perfetto ordine.
Almeno questa volta il rito del lavaggio delle mani si giustificava.
Per Martina non era una novità; il suo fu quindi un impercettibile moto, non tanto di sorpresa, quanto di conferma e avvicinatasi, questa volta prese l’iniziativa invitando Curt che ancora indugiava, a seguirla al non lontano salone da bar.
Già da un po’ di tempo aveva smesso di cadere quella leggera neve che aveva accompagnata l’inizio della giornata. Verso sud la coltre di nubi che copriva il cielo dava segnali di aprire degli squarci, una qualche finestra attraverso cui passava il colore del cielo. Era poco, ma bastava perché Martina sentisse come un respiro entrarle dentro, risollevare il suo umore, ridarle la speranza che il resto della giornata sarebbe stato meno triste.
Il centro del piccolo borgo non era lontano; vi giunsero con passo celere, quasi entrambi volessero evitare l’atmosfera di intimità che il procedere più lentamente avrebbe potuto far nascere. La scelta del locale era obbligata; a quell’ora e in quel giorno non era il caso che si attardassero a cercarne qualcuno nuovo. Si diressero verso quello più centrale, vi erano stati già diverse volte e, senza neppure consultarsi, entrarono.
Un tavolo d’angolo, abbastanza appartato, un poco riservato, ma nello stesso tempo non troppo separato dagli altri. Sembrava una scelta opportuna, una posizione strategica per evitare che una qualche discussione tra i due potesse degenerare. Anche questa fu una scelta non concordata, ma condivisa.
Curt quella mattina aveva comperato il giornale: l’Agefì, un quotidiano economico stampato a Losanna che era riuscito a trovare nell’edicola locale e la prima cosa che fece dopo essersi accomodato fu quella di aprirlo e di sfogliarlo.
A Martina non rimase che consultare la lista del menù. Non c’era modo migliore per ignorarsi che fare ognuno una cosa diversa, ma che date le circostanze potevano sembrare cose assolutamente compatibili. In fondo qualcuno ben avrebbe dovuto scegliere che cosa consumare e se qualcun altro nel frattempo fosse stato visto sfogliare un giornale, sarebbe stata la cosa più normale.
Superare momenti difficili di una relazione di coppia con piccoli espedienti, anche banali, in fondo era l’unico modo per cercare di evitare continui contrasti. Lo scontro della sera precedente, se nell’immediato aveva lasciato la coppia in uno stato di apparente quiete, in realtà non era stato ancora superato. Ognuno dei due lo sapeva e lo capiva benissimo. Non era facile superarlo emotivamente, ricucire ciò che era stato strappato, rientrare in una normalità di rapporto che cancellasse decisamente e completamente l’accaduto. Ci voleva tempo anche in condizioni normali, ma la coppia non stava vivendo condizioni normali. Ciò che era accaduto non era un episodio singolo, ma un momento di picco dentro un percorso perturbato.
Emergevano i singoli tratti caratteriali che anziché avvicinare rischiavano di separare le loro vite: quelle tendenze un po’ maniacali di Curt che, alla lunga, insinuavano in Martina più di un dubbio, una perplessità sulla reale natura del suo compagno; quella sensibilità fors’anche eccessiva di Martina che rischiava di dover subire più che riuscire ad essere riferimento di un equilibrio che Curt cercava senza trovare .
Non ci fu discussione; la scelta del menù fatta da Martina ottenne un rapido assenso da parte di Curt, forse anche troppo rapido; avrebbe potuto sembrare un assenso infastidito che la lettura del quotidiano riusciva a mala pena a nascondere.
Due aperitivi con uno stuzzichino, poi due tramezzini, alla fine due caffè lunghi, nulla di più quasi fosse subentrata la fretta di concludere, di non attardarsi a rimanere al cospetto uno dell’altro.
Una situazione che Martina sembrava ora rassegnata a dovere sopportare anche durante il tempo del viaggio che doveva affrontare. I silenzi, le pause lunghissime, il giornale quotidiano come un alibi; tutto sembrava cercato per evitare che quei momenti di obbligata convivenza si traducessero tra i due nella costruzione di un muro di separazione.
Anche la cameriera assegnata al loro tavolo pareva avesse colto quella sottile tensione che si misurava tra loro. L’aveva tradotta in una sorta di prudente imbarazzo con il quale si era rivolta per prendere le ordinazioni; una titubanza eccessiva che si era mutata in evidente sollievo quando Martina aveva velocemente dettato l’ordinazione.
Se l’ordinazione era stata veloce, altrettanto rapido fu il servizio. L’aperitivo avrebbe potuto essere il momento di una rottura della tensione, la prova del ristabilimento di rapporti apparentemente normali. Ci provò Martina interrogando Curt su quanto stesse leggendo. Una risposta vaga, imprecisa, laconica, quasi non ci fosse nulla che meritasse, a dispetto dell’attenzione con la quale, invece, sembrava concentrato su quelle pagine. No… il tentativo era fallito; Martina non parve sorpresa, piuttosto rassegnata.
Dunque anche questo momento che avrebbe potuto segnare se non una riappacificazione, almeno una tregua, era invece finito nel fallimento di ogni buon intenzione.
A guardarla dall’esterno la coppia sembrava ora più che mai preoccupata di terminare ogni cosa stesse facendo, quasi che il momento successivo potesse costituire motivo di migliorare il rapporto. In realtà era un accelerare quello della partenza; il desiderio che a questo punto accomunava entrambi di concludere al più presto la settimana di vacanza e di tornare ciascuno alle proprie abitazioni e alle proprie occupazioni.
Non c’era altro modo di uscire da quella situazione; ci voleva una tregua nella loro frequentazione diventata intollerabile. Non importa se Martina fino a poco prima avesse creduto diversamente; la rassegnazione in cui era caduta si era modificata nella convinzione che quella fosse la soluzione e che soltanto riprendendo il ritmo della vita quotidiana si potesse ristabilire la normalità di un rapporto.
“ Andiamo.” Curt non voleva perdere tempo; bevuto il caffè aveva, finalmente, ripiegato il quotidiano e mostrato l’intenzione di alzarsi. Martina non aveva opposto nulla, lo aveva seguito alla cassa e poi all’uscita.
L’incertezza del tempo permaneva, ma quegli squarci del cielo nella direzione del sole lasciavano ad alcuni raggi raggiungere il breve tratto di strada che attraversava il centro del borgo alpino e l’affrettato ritorno della coppia verso casa per la definitiva partenza, che poco prima pareva la soluzione, ora aveva in Martina il sapore della nostalgia che prende l’ abbandono.
Avrebbe voluto rallentare il passo, sentire ancora un poco il calore di quei raggi che avano la sembianza di un beffardo saluto, guardarsi attorno, gustare la bellezza serena di quel borgo, ma Curt non pareva disposto. Il suo passo non aveva rallentato, la direzione non aveva subito deviazioni; ormai il suo interesse era partire, probabilmente al più presto.
L’ultimo passaggio nell’appartamento; la preoccupazione assillante di non dimenticare nulla. Le uniche parole che aveva rivolto a Martina riguardavano questa sua maniacale attenzione. Da ultimo aveva sistemato le due paia di sci nella rastrelliera della parte posteriore dell’auto.
Sembrava tutto pronto; era già salito in auto, poi di nuovo era sceso, aveva verificato un’altra volta che gli sci fossero al loro posto, ben affrancati; Martina, già seduta, aveva aspettato attraversata dal solito sospetto e anche dalla solita rassegnazione.
Il viaggio sarebbe durato l’intero restante pomeriggio; nella prima serata, avrebbero valicato il Passo, poi ancora un po’ più di un’ora e mezza e sarebbero arrivati all’imbarco per compiere la traversata, all’incirca 15 minuti la sua durata, poi un’altra ora per l’ultima tappa; un po’ meno di 5 ore , questo era il tempo previsto per il viaggio.
Il meteo era dato incerto nella prima tratta, quella francese; il Vallese veniva però previsto sgombero di nubi, ma man mano che il Passo si sarebbe avvicinato le previsioni peggioravano, per passare decisamente al brutto, valicato che fosse stato.
Curt non era un cattivo guidatore, anzi. Se lo si può chiamare un difetto, non concedeva mai a Martina, che pure era brava, di condurre. Era geloso della sua auto, forse non senza una qualche ragione visto quanto gli era costata. Forse non avrebbe dovuto adoperarla per fare quel viaggio, sarebbe stato più indicato, vista la stagione, usare il suv, che pure aveva. Ma Curt era fatto così, gli piaceva molto condurla e non voleva rinunciare all’occasione di fare quei due viaggi, di andata e ritorno, su di un percorso vario che avrebbe ben messo a buona prova tutte le capacità di cui l’auto e anche lui, erano dotati.
Martina non aveva obiettato, conoscendolo non ne avrebbe tratto un benché minimo risultato, quindi anche a lei aveva dovuto andare bene così; in fondo, stante il veto posto a che guidasse, alla fine la cosa le stava indifferente.
Il fondo della route de Montet era pulito, perfetto; non c’era già più traccia dell’ultima nevicata; dopo i primi e unici tornanti scendeva con pendenza regolare, alternando tratte rettilinee con rapide serpentine, il divertimento di un buon pilota, ed anche il fatto che non fosse eccessivamente larga era un elemento di difficoltà che non disturbava affatto, ma teneva desta l’attenzione del guidatore.
Il paesaggio alpino era piacevole: boschi di conifere ricoprivano entrambi i versanti della valle; poche erano le costruzioni che si incontravano a lato della carreggiata, il traffico era scarso, per lunghe tratte assente e il sole continuava quel gioco infilando i raggi nelle brecce che le nubi, di tanto in tanto, aprivano. Erano raggi caldi a quell’ora del giorno e penetravano nell’abitacolo dell’auto. Martina non pareva per nulla infastidita, anzi quando in quegli attimi la luce del sole la illuminava, piegava leggermente il capo di lato, quasi ad appoggiarla sulla sua stessa spalla come volesse sentire il calore e farsi accarezzare.
Anche a Curt la strada sembrava far bene. Conduceva l’auto con scioltezza, con elasticità e senza strappi. Accelerava nelle tratte rettilinee sfruttando bene la potenza del motore, calava di un passo il cambio quando affrontava le serpentine o all’avvicinarsi dei rari tornanti. No, non era una guida nervosa. A dispetto di come si era comportato durante la giornata, ora pareva un altro. Dire che si stesse divertendo era forse troppo, ma quel percorso e quell’auto gli regalavano una calma e un rilassamento che, raramente, conosceva.
No, tuttavia la conversazione tra i due non era ripresa. Solo poche parole; comunicazioni di servizio si sarebbero potute chiamare: “ Martina, guarda quanti chilometri dobbiamo fare… Martina, siamo sicuri di non aver dimenticato nulla?” Quest’ultima era proprio una preoccupazione ossessiva. “ Sono le 14,30 Curt, mancano 420 chilometri… in Italia piove… sul Passo c’é un po’ di tormenta… No, tranquillo, abbiamo preso tutto… non c’era proprio più niente, ho guardato molto bene.”
Il piacere del viaggio, almeno nella sua tratta iniziale, pareva però aver positivamente contagiato entrambi e questo, al momento, faceva dimenticare le loro frizioni. Si sarebbe potuto guardarli anche con una certa invidia: una bella macchina, due persone giovani e ben vestite, di classe agiata, nessun segno apparente di disagio; persone fortunate si sarebbe potuto dire.
La prima tappa, Martigny, non era lontana; passata la frontiera senza che nessuna formalità fosse stata loro richiesta dai distratti gendarmi Svizzeri che la presidiavano, la strada procedeva con un andamento non diverso da quello della tratta Francese, poi un qualche lungo tornante, già in vista della cittadina, e da lì a poco un cartello indicava l’entrata nella località.
La conoscevano bene, non vi era dunque alcun particolare motivo per una sosta, semmai più oltre.
La previsione meteo veniva piacevolmente confermata; l’intera vallata Vallesana appariva sgombra di nubi e anche se erano da poco già passate le 15, il sole, nonostante la stagione, era ancora abbastanza alto e infilava i suoi raggi dalla direzione del confine illuminando la valle. Più in alto, guardando in direzione del Passo, si intravedevano alcuni addensamenti nuvolosi, ma erano l’unica avvisaglia del cattivo tempo che avrebbero trovato scendendo verso l’Italia.
Il percorso ora mutava decisamente rispetto a quello alpino; il traffico molto più intenso, meno fluido e meno veloce del tratto precedente. C’erano tratte autostradali in cui ci si poteva immettere, ma obbligavano, a volte, a intraprendere fastidiose deviazioni per immettersi e poi per uscirne.
A Curt tutto ciò infastidiva; la sua guida era diventata meno fluida, più nervosa; un’accelerata troppo veloce, cui faceva seguito un rallentamento altrettanto rapido; niente a confronto della piacevolezza del percorso alpino.
Martina mostrava più accondiscendenza; non pareva che le mutate condizioni di guida la infastidissero,era come assopita, aveva messo gli auricolari e, probabilmente, stava ascoltando musica collegata al suo smartphone.
Sapeva che Curt non amava la musica, men che meno lo smartphone; voleva evitare di disturbarlo o meglio di turbarlo e dopo la scenata della serata precedente si era ripromessa di stare molto attenta. Sapeva però che ascoltare musica con gli auricolari era una cosa che Curt tollerava e non era la prima volta che lo faceva.
L’attraversamento del Vallese avrebbe occupato il tempo di circa un’ora e mezza; se non vi sarebbero stati intoppi o imprevisti, sarebbero arrivati a Briga all’incirca poco dopo le 16,30.
No, le condizioni stradali e di traffico non cambiavano di molto e in meglio via via che l’auto percorreva chilometri: troppi rallentamenti, molti cantieri stradali, diverse deviazioni, poche tratte autostradali ultimate dove si poteva sperimentare una maggior velocità e scorrevolezza.
Anche Curt, dopo una serie di iniziali commenti negativi, sembrava essersi rassegnato a dover compiere quella lunga tratta stradale in quelle condizioni affatto piacevoli.
Martina non aveva mai dato una risposta alle lamentele del suo compagno, ma aveva sempre assentito, con un leggero accenno del capo, tutte le volte che Curt si era pronunciato. Forse era stato sufficiente anche solo questo perché si convincesse delle sue ragioni, tanto da essere condivise, con quel lieve cenno, anche da Martina.
C’era però la successiva tratta alpina che già Curt pregustava. La salita al Passo, piuttosto che la successiva discesa, era ciò che lo allettava; sul valico le condizioni meteo non sarebbero state le migliori, ma la qualità del percorso era indiscussa e le lunghe tratte in gallerie artificiali garantivano una buona percorrenza anche in presenza di qualche precipitazione nevosa. Quindi che avesse pazienza, poi sarebbe stato ripagato, ampiamente, dalla fatica di dover attraversare il Vallese tra deviazioni, rallentamenti e cantieri stradali.
L’irritazione di Curt comunque di tanto in tanto si manifestava ancora, in genere con commenti negativi sulle condizioni della viabilità; non si rivolgeva direttamente a Martina, sembrava quasi ne ignorasse la presenza come se parlasse solo con se stesso. Martina non era di meno; forse si era veramente assopita, favorita dall’ascolto della musica e dal tepore dell’abitacolo dell’auto.
Così procedeva il viaggio ormai prossimo a Briga dove, secondo il programma, era prevista una sosta.
La strada era entrata nel cono d’ombra che i versanti montani proiettavano sul fondo valle mentre i raggi del sole declinavano velocemente preannunciando il sopraggiungere della serata. Il cielo ancora limpido e sereno ritardava però di un poco l’arrivo delle tenebre, mentre sempre più si addensavano le nubi in direzione del Passo.
Martina aveva staccato gli auricolari, sembrava essersi anche piacevolmente destata dal riposo con il quale aveva, sino a quel momento, accompagnato il viaggio.
“Curt, ci siamo, manca poco ? Ci fermiamo per un tè in centro come avevamo detto ? ”
La risposta non era delle più entusiaste. Il ritardo che il viaggio aveva cumulato a causa di tutte le interruzioni e deviazioni, sembrava stesse facendo cambiare idea a Curt.

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