Giù la maschera
Parliamo di quei due, prima dell’uno e poi anche dell’altro, l’uno è un uomo anche di fede, gli son ora cresciute un po’ di ragnatele a furia di starsene in Palazzo dove si presta sempre a svolger ruoli che gli chiedono: oggi sembra un santo, domani è inquisitore, qualche volta si chiude a meditare, magari anche a pregare, ma poi è sempre pronto anche a firmare, senza troppo starci manco a pensare. Era quasi ancora un ragazzino, portava i calzoncini, come fa ancora adesso qualche volta, quando i notabili del tempo gli misero addosso la fascia tricolore. Lui così legato, stretto stretto, dentro quella fascia passò un primo quinquennio a guidare la città. Era al volante, ma forse aveva ancora il foglio rosa e così guidava accompagnato, comunque presto passò il tempo e dopo un po’ d’altro di tempo Lui tornò, era quasi la fine degli ottanta. Non era certo più quel ragazzino, ma anche i notabili intanto erano cresciuti e mica lo lasciarono senza una tutela. Si circondò del peggio che era in giro, Lui galleggiava mentre tutto intorno fioriva il mercimonio. Lui galleggiava usando il linguaggio complicato, vuoto e fumoso dei suoi padri e per non essere invischiato nelle cose della terra, rivolgeva sempre lo sguardo verso il cielo; intanto nel tempio continuava il mercimonio. Passava così il secondo dei due lustri, le terre ad edificare andavano all’incanto e Lui si rivolgeva al cielo sicuro di un conforto. Finite tutte le aste, gli dissero: mettici una firma per favore. Non fummo testimoni di quell’atto, non sappiamo se il polso era fermo o la mano tremolante, ci vorrebbe ora una perizia per provarlo, ma firmò, forse, questo si, con gli occhi sempre rivolti verso il cielo. Passò il lavacro giudiziario che fece la retata nel Palazzo, ma come succede, confidò nello Spirito Santo e Lui fu salvo. Il resto sta scritto nelle tante sentenze passate in giudicato. Comunque arriva anche il nuovo secolo, cambia l’abito talare, si guarda un poco intorno, diventa forse margherita e adesso si ritrova democratico, almeno così sembra. E’ richiamato in servizio a tempo pieno, ci vuole, un’altra volta, la Sua storica firma, quella che è a prova di procura. Lui si ripresenta, ormai è un veterano e se la patria chiama non arretra, è valoroso. Confida che il tempo sia passato e che tutto sia caduto nella memoria in prescrizione, deve firmare l’atto di morte della sua città natale. Canio è furbo e lo lusinga, lo blandisce: “ non avrai più un’altra occasione come questa“, lo porta su in collina, dove qualcuno dice che ancora, qualche volta, si incammina; gli dice guarda giù, mettici la firma e tua sarà la nuova città dei grandi, immensi alberghi. Balbetta qualche cosa il nostro Professore, guarda verso il lago, guarda anche il cielo, poi si avvicina a Canio e gli sussurra: “ promettimi che questa è l’ultima volta e poi basta”. “Si te lo prometto”, Canio rassicura, “ poi non servirai più mio caro Professore”.
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