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domenica 10 marzo 2019

INTERMEZZO: ULTIMA PARTE






                       “Siamo un po’ in ritardo per tutti quegli imprevisti… io ne farei anche a meno… sul Passo il tempo non è bello e ci arriveremo con il buio.”
“ Ma Curt, solo il tempo di bere un tè caldo… ti farà bene… una breve sosta… ci vuole.“ Era sembrata convincente; Curt non aveva replicato.
Qualche altra interruzione per lavori in corso, qualche altra deviazione, l’ultimo tratto da percorrere in autostrada, finalmente senza ostacoli, e l’indicazione dell’ uscita “Briga” comparve a lato della carreggiata. L’auto imbocca l’uscita senza esitazione, Curt scala le marce del cambio e, rapido, entra in città.
La città è ordinatissima, ossessionatamente pulita, è fredda, ma le luci dei locali già accese la rendono gradevole. Dal parcheggio alla piazza dove si affacciano i saloni dei bar la distanza è breve. Curt e Martina la percorrono con passo affrettato. E’ un piacevole calore che li investe quando oltrepassano la porta di ingresso. I tavolini sono quasi tutti occupati; è l’ora in cui i cittadini, per lo più anziani e pensionati benestanti, sono soliti incontrarsi per un tè e un dolce. Si guardano un po’ attorno; proprio in quel momento una coppia si sta alzando; Curt e Martina aspettano ancora un attimo, poi si affrettano verso quel tavolino appena liberato.
Il servizio è rapido e efficiente; appena prendono posto, una cameriera è già lì che attende l’ordinazione. “ Due tè caldi al limone e due pasticcini… grazie.” Martina era stata anche lei rapida, non aveva neppure consultato Curt, sapeva che a lui gli andava bene così, infatti Curt non aveva obiettato.
Peccato che non ci si potesse attardare in quel locale, l’impazienza di Curt non lo avrebbe permesso. Questa volta una qualche ragione l’aveva, le condizioni meteo non erano buone sul Passo, bisognava valicarlo prima che scendesse troppa neve e farlo al buio non era la cosa migliore.
Il servizio è veloce, il personale del locale sembra quasi, in quell’ora, voler accelerare l’avvicendarsi dei clienti. Alla fine non più di cinque o sei minuti sono il tempo che Martina e Curt impiegheranno a consumare. Rapido poi il passaggio alla cassa da parte di Curt, mentre Martina si attarda un attimo alla toilette. Quando escono l’aria tesa e pulita della vallata accende le luci della piazza, ma non c’è il tempo, tra non molto sarà buio; Curt manifesta di nuovo impazienza e invita Martina ad affrettarsi a salire in auto.
L’uscita dalla città è rapida, le strade sgombre; in breve la Porsche si immette sulla nazionale che sale verso il Passo.
Curt da potenza al motore, il tracciato è di quelli che predilige: tratte pressoché rettilinee e curve abbastanza ampie, un dislivello a salire che si mantiene regolare. E’ scarso il traffico che si incontra in discesa, quasi nullo in salita.
Il piacere della guida sembra, di nuovo, contagiare Curt che sì ha impresso all’auto un’andatura veloce, ma elastica e sciolta, con rallentamenti rapidi e riprese lunghe.
Anche Martina questa volta sembra farsi contagiare; ha nuovamente messo gli auricolari, ma è attenta all’andatura, sembra quasi che la musica a cui si è collegata ritmi il percorso; non si assopisce, è curiosa di quel modo con cui l’auto affronta la salita al Valico.
Il fronte perturbato inizia alle quote più elevate; lì, nella scarsa luce che ancora per poco illumina il cielo, si vede il gioco delle nubi che si formano e che si addensano su verso il Passo e lo nascondono.
Ora sono i fari dell’auto che prendono il posto della luce naturale, mentre la lunga vallata sottostante si stende come un mantello punteggiato di luci. A breve quelle luci si spengono, mentre le nubi si addensano, si arrampicano verso il Colle aggrappandosi ai pendi, circondando e invadendo la corsia percorsa, velocemente, dall’auto di Curt.
Qualche raro primo fiocco di neve che i fari illuminano mentre impazza nell’aria, qualcuno si infrange sul parabrezza ancora asciutto. Martina ora sembra preoccuparsi un poco: “ Curt, non ci saranno problemi… manca molto ? ” “ Tranquilla… ” Ora le parti sembrano scambiarsi; è Curt che diventa rassicurante. “ Non manca molto al Colle… fra breve iniziano le gallerie artificiali… non ci saranno problemi, ma abbiamo fatto bene ad affrettarci.”
Gli ultimi cinque chilometri sono in effetti quelli più tranquilli, tutti in galleria che l’auto, quasi rodata dalla precedente salita, supera in breve.
Ma sul Passo è tempesta; il vento spinge forte, la visibilità è scarsa; Curt deve rallentare, ma il fondo stradale non ha accumulato ancora una quantità di neve che lo possa impensierire. Martina si leva gli auricolari, ora è tesa, fissa la strada seminascosta dalla bufera di vento e di neve che sta investendo il Passo, gira lo sguardo verso Curt, quasi a interrogarlo, ma tace, non vuole distrarlo, si augura che il momento passi in fretta. Le luci dell’ospizio si intravvedono appena, sulla sinistra, è il segno che l’auto è quasi arrivata al punto dove si scollina verso il confine Italiano; inizia la discesa.
Curt procede con cautela, per esperienza sa che è sul Colle che le condizioni meteo sono le peggiori e quindi confida che iniziando la discesa migliorino. Non ha torto; dopo un paio di chilometri, forse meno, la tormenta lentamente si placa, la neve cade con discreta intensità, ma la visibilità è migliorata, il fondo stradale è coperto da pochi centimetri di neve asciutta e farinosa e l’auto procede senza fatica. Martina sembra più rilassata, abbandona lo sguardo che sembrava fissato sulla carreggiata e ora si distrae. Il tratto stradale sono gallerie artificiali, Curt le attraversa spingendo sulla velocità, il confine ormai non è molto lontano e alle strette di Gondo la neve si trasforma in pioggia battente.
Sulla destra, poco prima del posto di controllo, c’é la stazione di rifornimento; Curt rallenta e accosta: “ voglio fare il pieno.” Sono le uniche parole che pronuncia; Martina si sta districando con i fili degli auricolari e quasi presa di sorpresa dalla fermata, se ne libera rapidamente come se si accingesse, pure lei, a scendere, poi desiste. La sosta è breve, il tempo per il rifornimento. Curt si dirige alla cassa, due minuti, non di più, la portiera si riapre, il rumore sordo del chiudersi, il tempo di mettere la cintura di sicurezza e l’auto riparte.
Nessun gendarme sta presidiando in quel momento il posto di controllo Svizzero e l’auto lo supera accelerando in direzione di quello Italiano. Qui i due finanzieri in servizio però compiono alcune formalità di controllo: i documenti di entrambi, la richiesta se mai abbiano qualche cosa da dichiarare, quale sia la loro meta. A sentire la risposta, i due si guardano un attimo tra loro e, con un appena accennato sorriso, restituiscono i documenti indicando il via libera.
La pioggia non cede, l’auto riprende la discesa verso la valle, alla fine si arriverà al lago, quasi un’altra ora di viaggio; i commenti di Curt non sono benevoli riguardo le condizioni stradali, tutt’altro che benevoli, sembra che abbia trovato un nuovo e questa volta valido motivo per lamentarsi. Martina lo asseconda: “ Curt, hai perfettamente ragione, questa strada è impossibile, ma lo sai siamo in Italia … pazienza.”
Più avanti la pioggia diminuisce; la traversata della valle procede dentro una serata buia, debolmente illuminata dalle scarse luci dei paesi che si incontrano in lontananza scendendo verso il lago. E’ scarso il traffico nei due sensi di marcia, l’auto ha un lieve sobbalzo ogni volta che si imbatte in una delle tante buche che si sono aperte nel manto stradale, l’imprecazione di Curt non manca mai.
Martina, dimenticando un po’ la prudenza, ha acceso lo smartphone e, come sempre accade al passaggio di frontiere, messaggi in serie arrivano dal gestore telefonico. “ Disturbo?… Se no spengo subito...” Curt non risponde, lasciando Martina indecisa.
Ormai si sta percorrendo la bassa valle, ancora qualche chilometro e sarà la volta del lago. L’indicazione uscita per la SS 34 non tarda, l’auto si infila nella corsia e dopo un’ampia curva è sulla Statale. Qui il traffico è intenso, i rallentamenti continui, ma ormai manca poco.
Sono da alcuni minuti passate le diciannove; l’orario di partenza del ferry è alle 19 e 15, la pioggia e il vento spazzano il piazzale d’ imbarco. Curt accosta alla corsia di sosta, non dice nulla, apre e scende; va veloce verso la biglietteria. Passati due, tre minuti al massimo, riattraversa sotto la pioggia la distanza che lo separa dall’auto, risale e consegna i biglietti a Martina. Dice soltanto che la partenza sarà tra quattro minuti. Riavvia, davanti a loro c’è un tir che si sta imbarcando, dietro a loro non c’è più nessuno. Sono all’inizio del pontile; a lato, sulla loro destra un marinaio coperto da un’ incerata blu notte, insieme ad un altro collega che sta sulla sinistra ma un poco più avanti, controlla i biglietti. Arrivati accanto Curt ferma e Martina abbassa il finestrino, quel poco necessario per far passare i biglietti. Il marinaio si china leggermente all’altezza del finestrino e incrocia lo sguardo di Martina. Anche Martina incrocia lo sguardo del marinaio, vede che è un giovane, avvolto in quell’incerata e sotto quella pioggia battente le prende una sorta di tenerezza. Ha una leggera e incolta barba rossiccia, gli occhi sono luminosi, altro Martina non può cogliere in quel breve momento e nel buio della serata, una breve scossa l’attraversa, niente più, ma è ciò che basta perché la colga il dispiacere di una vita come era stata sin lì, e la nostalgia di una vita che non aveva avuto.
Gentile, con un accennato sincero sorriso, il marinaio restituisce i biglietti, ringrazia e invita a seguire il tir, mettendosi proprio dietro. Martina lo ricambia.
E’ l’ultima auto che s’ imbarca; il ponte di coperta non è completamente occupato, ma la presenza del tir, messo al centro, isola l’auto di Curt rispetto alla altre autovetture che stanno parcheggiate più avanti, verso la prua. La pioggia continua e non appena mollati gli ormeggi e percorse le prime centinaia di metri, il vento rinforza, spinto da nord verso il centro del lago. I marinai hanno lasciato il ponte e sono andati nel loro alloggiamento; qualche passeggero, senza il seguito di auto, sta nel salone superiore, degli altri non sembra neppure via sia traccia, pare che nessuno abbia voglia di affrontare la pioggia e il vento e tutti se ne stiano negli abitacoli delle proprie auto. Nessuno scende neppure dal tir. D’altra parte la traversata dura poco più di 15 minuti, è quelle condizioni di cattivo tempo non invitano a scendere sul ponte.
Curt è silenzioso, fa solo alcune previsioni circa il tempo che ancora dovranno impiegare per arrivare a destinazione; Martina sembra nuovamente essersi imbrogliata con i fili degli auricolari, vorrebbe fare un po’ d’ordine, quasi fosse già imminente l’arrivo.
C’è un leggero rollio causato dal moto ondoso che prende di lato il ferry, quando questo rollio aumenta ancora, la rotta viene corretta per attenuarlo, ma così il tempo della traversata durerà qualche minuto di più.
A Martina lo sguardo di quel marinaio ritorna, ci ripensa anche senza volerlo, insieme a quello sguardo ritornano il dispiacere e la nostalgia. Quasi le prende il desiderio di rivederlo, sa che è una sciocchezza, ma sa anche che è tutto lì e che a nessuno può fare del male.
“ Senti Curt, io scendo a prendere un po’ d’aria, tanto ho la giacca a vento, non importa se piove.” “ Non fare stupidate, non è proprio il caso, non vedi che nessuno è sul ponte.” “ Ma no Curt, soltanto un attimo… se tu non vuoi venire è lo stesso.”
Martina non aspetta la risposta, scende senza altro preavviso. Appena ha messo piede sul ponte di coperta, il vento e la pioggia la investono, ma è piacevole la sensazione che prova. Un rapido sguardo, ma non vede nessuno, il tir sta appena davanti, poi vengono tutte le altre auto parcheggiate con ordine e rivolte verso la direzione di sbarco. Fa alcuni passi verso la poppa dove il ponte è sgombro; vede il porto di partenza ormai in lontananza, il lago è scuro, le luci costiere sono tenui, il rumore dei motori ritmano l’avanzamento del ferry che taglia al mascone le onde che sopraggiungono da nord. Si ferma in mezzo al ponte e sulla linea segnata quale limite di accesso per i passeggeri. Ancora una volta il dispiacere e la nostalgia la prendono. Sente il segnale di un messaggio che proviene dal suo smartphone. Non si cura di avere attenzione, Curt sta in auto; lo legge, poi cerca sulla rubrica un nome e chiama.
Una mano glielo strappa di dosso. E’ un colpo tremendo che la colpisce all’altezza dei reni, ne piega la forza e le toglie il respiro. E’ talmente violento che la sbalza giù dal ponte. E’ dentro l’acqua, il dolore di quel colpo si aggiunge a quello del soffocare, è come se una mano le chiudesse la gola. Sente il freddo dell’acqua che la stringe, ma va sotto, è confusa. Il rumore del ferry l’assorda, per un attimo ritorna a galla, ma è solo un attimo ed è di nuovo sotto, il ferry si allontana.
Curt è diventato un assassino, ha soppresso una vita cui diceva di volersi dedicare; per un attimo il suo cuore si è fermato e il sangue gli si è congelato. Fissa il buio dell’acqua che si allontana con il corpo di Martina seppellito dentro, è attraversato da un fremito freddo, gelido, di ghiaccio.
Si ritrova seduto dentro l’auto senza neppure accorgersene, scatti involontari attraversano le sue membra, la testa gli esplode, vede il corpo di Martina precipitare dal ponte, si piega sul volante, lo stringe con le mani che non sente più...
Un rumore lo scuote, il tir ha un sobbalzo, il motore dell’autocarro si accende, lo sbarco è in corso.
Curt è un automa, avvia l’auto, segue il tir a pochissima distanza, la pioggia è intensa, la visibilità scarsa, il ponte è attraversato da raffiche di vento e di acqua. Il tir è già sul pontile, Curt gli sta dietro, i marinai sono alle manovre ai due lati del ferry. La Porsche attraversa la passerella di sbarco; il giovane marinaio è sul lato di destra, quando vede passare l’auto alza un attimo lo sguardo e accenna un saluto, l’auto ha attraversato e già si allontana.
Il buio, la pioggia intensa, il vento, i vetri oscurati; era difficile in quelle condizioni vedere bene e con certezza, ma mentre l’auto è già oltre il giovane marinaio è attraversato da un dubbio. Guarda ancora per un momento l’auto sin tanto che sparisce oltre la prima curva. Ha impresso anche una parte della targa: “CT 492…” . E’ solo un dubbio, forse solo una curiosità e impegnato nelle manovre in quella sera di lago tempestoso, presto allontana quel pensiero.
E’ una bella giornata di febbraio, le luci alla fine della mattina sono radiose; il cattivo tempo dei giorni precedenti ha lasciato molta nuova neve sui versanti più elevati delle montagne che fanno corona al lago. Tomy, il giovane marinaio, così lo chiamano gli amici, fra breve inizierà il proprio turno di lavoro a bordo del ferry sulla rotta che unisce le due sponde. Seduto al bar dell’imbarco sta sfogliando un quotidiano locale; alla pagina della cronaca estera c’é un piccolo articolo dal titolo: “Lugano: giovane donna è scomparsa. Il compagno ne ha denunciato la sparizione.” Il marinaio prosegue la lettura dell’intero articolo e dopo ogni parola la sua attenzione e il suo stupore aumentano:
“La giovane donna era rientrata al suo domicilio nella serata di lunedì scorso. Reduce da una settimana di vacanza sulle nevi in Francia, era stata accompagnata a casa sua dal compagno. Quest’ultimo l’aveva aiutata a scaricare i bagagli e l’attrezzatura da sci, che infatti sono stati ritrovati nell’abitazione, poi l’aveva salutata e aveva raggiunto la propria dimora. Il giorno successivo la giovane non aveva risposto alle sue chiamate, ma la segreteria telefonica lo invitava a lasciare un messaggio. Dapprima il compagno non si era eccessivamente preoccupato, non essendo la prima volta che succedeva, ma poi si era allarmato sino al punto di denunciarne la scomparsa. La giovane appartiene ad una famiglia della ricca borghesia finanziaria di Lugano, con importanti relazioni nel mondo economico e bancario. Al momento ogni ipotesi è ritenuta possibile.”
Terminato lo rilegge ancora e il sudore e lo sgomento lo prendono. Rivede passare quell’auto al momento dello sbarco, ricorda i primi tre numeri della targa, ma ricorda ancor di più il momento in cui, con gentilezza, una giovane donna gli aveva consegnato i biglietti all’imbarco e poi quel sorriso che aveva mostrato quando lui glieli aveva riconsegnati.
Lo smarrimento lo prende, vorrebbe subito confidarsi con qualche collega di lavoro, parlare con il suo comandante, chiedere loro cosa gli consiglino di fare o cosa debba fare.
Passano diversi minuti senza però fare nulla; riflette, cerca di riordinare tutti i ricordi intorno alla traversata di quella sera, esce e all’edicola lì vicino compra una copia del quotidiano. Rilegge ancora l’articolo; più legge e più si convince che forse durante la traversata era successo il peggio.
Manca ancora una mezz’ora all’inizio del turno, l’equipaggio è già in sala di attesa, Tomy entra, cerca il comandante, chiede di potergli parlare in privato.
Il Commissario Valenzi riceve una telefonata sul numero del proprio cellulare. Il Comandante Ottoni della Navigazione Laghi gli parla di quello che un suo marinaio gli ha appena raccontato.
” Direi proprio di sì, assolutamente di sì; gli dia un permesso speciale, lo mando a prendere subito da una nostra auto, grazie infinite.”

F I N E 

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