Visualizzazioni di pagine: ultimo mese

martedì 31 marzo 2020

LINEE GUIDA PER DOPO IL VIRUS



Poche cose sono certe oggi, ma una è meno incerta di altre, ossia che la classica stagione turistica che avrebbe già dovuto iniziare, quest'anno non ci sarà. Non servirà fare scongiuri, invocare Madonne, fare voti di castità e obbedienza; niente da fare, il subdolo e non proprio imprevisto virus verrà sconfitto solo con il tempo, non lasciando sul campo feriti, ma morti certamente sì come l'impietoso bollettino quotidiano delle 18 ci numera. Sul futuro della Perla già ne abbiamo fatto cenno in qualche post fa, ora vorremmo tornare pubblicando una sorta di vademecum, delle linee guida che vogliono provare a indicare una qualche via di uscita, provando questa volta a organizzare una stagione turistica alla rovescia, che apra a novembre e che forse poi non si chiuda più. Certo non bisognerà aspettare il 31 di ottobre prossimo a pensarci e nonostante o forse anche grazie all'appuntamento elettorale, anche lui fuori stagione, sarà meglio che il governo uscente, ma prolungato nella sua speranza di vita oltre ogni ragionevole aspettativa, provi a inventarsi qualche cosa e rimboccarsi le maniche, piuttosto che fare scongiuri che non sevono a nulla. Ve lo postiamo qua sotto.

LA DESTAGIONALIZZAZIONE TURISTICA
sintesi di un progetto sperimentale

Il tema: il turismo invernale come modello alternativo che vada ad occupare il tempo vuoto della lunga stagione invernale, e lo riempia di un contenuto che coniughi turismo, cioè economia, con cultura mediante un approccio diverso, e inedito ai giacimenti di beni comuni che la cittadina e il lago racchiudono.
Il targhet: turismo non di massa ma selezionato, stimolato da eventi culturali e di intrattenimento calendarizzati durante l'arco lungo della stagione. Il mercato nazionale usualmente non fruitore e quello straniero, privilegiando i paesi del Nord e dell'Est Europa.
Il calendario di riferimento: tutti i fine settimana e le altre festività che riempiono i quattro mesi di attuale stasi turistica.
La ricettività di riferimento: strutture alberghiere minori, quelle para alberghiere e quelle residenziali.
Ambito territoriale : i comuni di Stresa/Baveno/Belgirate/verbania. La sponda Lombarda limitatamente all'eremo di S. Caterina.
Offerta culturale attrattiva: un evento di rilievo, ad esempio una grande mostra, capace di coprire l'intero periodo temporale interessato, secondo modelli e schemi già ampiamente collaudati con successo nell'ambito di grandi e medi centri urbani.
Contenitore dell'evento: Pala Congressi ora sottoutilizzato, opportunamente adeguato. In alternativa: ospitalità presso una grande struttura alberghiera.
Altre proposte turistico/culturali essenziali e collaterali: apertura,"leggera" dei giardini delle Isole e di Villa Pallavicino in veste invernata, assistita da servizi interni collaterali di ristoro e caffetteria.
Target mirato: le associazioni accomunate dalla passione e dall' interesse dei loro associati per i giardini.
Proposta culturale eventuale: un'apertura ridotta di Palazzo Borromeo, limitata ad una singola ala, quale contenitore di un'esposizione a tema, ogni anno rinnovata, del meglio che la ricca quadreria della collezione Borromeo possiede.
Proposta culturale complementare: apertura della casa museo Ruffoni all'Isola Pescatori e di quella della pesca.
Servizi di mobilità locale: ripristino, nelle giornate di visita, della fermata del servizio ordinario di linea allo scalo di Isola Madre. Integrazione dell'ordinario servizio di linea con uno dedicato ad una coppia di collegamenti triangolari: Stresa - S. Caterina del Sasso - Isola Madre - Stresa e viceversa, con relative soste di visita. Per l'accesso alle altre località isolane il solo servizio ordinario invernale di linea e i vettori del servizio pubblico non di linea.
Servizi di ristorazione: impegno concordato per l'apertura di un adeguato numero di esercizi con un'offerta gastronomica ricondotta a quella dei territori, locali e regionali di riferimento.
Servizi di pubblici esercizi caffè bar: pari esigenza di impegno concordato per l' apertura di un numero adeguato di locali con previsioni, a rotazione, di intrattenimenti serali di genere musicale, con l'eventuale coinvolgimento delle associazioni musicali locali.
Offerta teatrale: Calendariazzazione della abituale stagione teatrale con il calendario turistico dei fine settimana e dei periodi di festività.
Baget promozionale: da raccogliersi da parte dell'Ente Comune attraverso una qualche forma di equa "tassazione" dei soggetti coinvolti, vuoi contribuendo con le proprie risorse di bilancio, vuoi attingendo a contributi previsti da legislazioni di settore.
Soggetti promotori: Comune di Stresa/ Distretto turistico dei laghi.

giovedì 26 marzo 2020

SENTENZA: UNA IN DECISIONE




Tanto attesa, o meglio attesa da tanto tempo, finalmente è arrivata la sentenza che avrebbe dovuto decidere il contenzioso tra Comune e Regione sulla questione dei soldi per la Fondazione Palazzola. E' arrivata, ma probabilmente non accontenterà appieno nessuno dei due contendenti: il Comune si vede riconosciuto il diritto a ricevere una cifra ben al di sotto delle sue aspettattive: 1.080.000,00 euro, più interessi, quando ne avrebbe voluti 4.500.000,00 o sù di lì; la Regione poi dovrà sborsare più o meno quanto già aveva offerto come liquidazione a saldo per il suo disimpegno dalla Fondazione, ma al momento deve rimanere ancora in quell'Ente di cui avrebbe voluto liberarsene volentieri. Prima di proseguire, occorre ricordare come accordi transattivi ne erano stati comunque tentati, bisogna dire con un'ondivoca posizione del Comune che oscillava tra la richiesta dei soldi e quella di riappropriarsi del bene con la soppressione della Fondazione. Bisogna peraltro dire che vi sarebbero della ragioni di natura tributaria che ostano o che comunque renderebbero affatto indolore quest' ultima soluzione. Comunque il Consiglio aveva alla fine bocciato l'operato del Sindaco, propugnatore di un accordo transattivo, e aveva invece chiesto che la controversia venisse decisa in sede giurisdizionale. Così dunque é stato e non posso dire che il Consiglio Comunale abbia sbagliato. Nella sua decisione il Tar ha affermato che la richiesta di accertare l'inadempimento delle prestazioni mancate ben poteva essere riconosciuta, ma non nella misura richiesta dal Comune e con limiti che la sentenza stessa ha evidenziato. I giudici hanno ritenuto prevalente il fatto che si era esaurita la durata decennale dell'accordo stipulato tra i due Enti ( attenti, non la durata della Fondazione che nello Statuto è illimitata) e che quindi ogni pretesa successiva ad osservarlo, in mancanza di una proroga espressa, fosse priva di fondamento giuridico. Mi chiedo se il Comune si fosse mai accorto dell'esistenza di questa clausola e in caso affermativo, perchè mai non abbia provocato una richiesta di proroga ? La sentenza comunque riconosce legittima la facoltà data alle parti di non ritenere più perseguibile la finalità che il contratto tra loro prevedeva e quindi di recedere, anche unilateralmente, dall'accordo, accordo che comunque sarebbe ora venuto meno per effetto della trascorsa durata decennale del medesimo. Su questo punto devo dire che la facoltà di recedere unilateralmente é vero che esiste, ma non può essere esercitata senza che la discrezionalità diventi arbitrio. Voglio qui sostenere che qualsiasi decisione a riguardo non poteva essere assunta senza che la stessa fosse sostenuta da motivazioni logiche e coerenti e che quanto sostenuto dalla Regione, già nel corso del 2015, circa il venir meno dell'attualità degli scopi fondativi, non mi pare convincente. Vero è che però a quella data il decennio era già decorso e quindi sarebbe stato necessario prorogarne la durata, cosa che non è stata fatta. Più pregnante mi pare il rilievo che la sentenza ha posto sulle ristrettezze finanziarie che la Regione ha subito a partire da quegli anni e quindi sul fatto che la stessa aveva una piena ed ampia discrezionalità di rimodulare i finanziamenti nel proprio bilancio. Qui evidentemente stava alla capacità negoziale del nostro bel Comune farsi valere, ma così non è stato e i fondi perenti non sono stati ristanziati. Vale inoltre ricordare che il giudice amministrativo non può sindacare le decisioni discrezionali di un'amministrazione pubblica, basta che siano sorrette dai criteri della manifesta ragionevolezza, e quindi pretendere, attraverso una sentenza di ottenere l'adempimento di un accordo su cui una delle parti vuol recedere è cosa ardua. Ma andiamo avanti e arriviamo nei pressi delle conclusioni. La sentenza rimprovera ad entrambi le parti, la responsabilità di aver mancato in più punti nell'adempimento dell'accordo tra loro stipulato; esimente parziale per la Regione sarebbe però l'intervenuta crisi del proprio bilancio e comunque, dopo la scadenza del decennio dalla stipula dell'accordo, non sarebbe stato più possibile pretendere l'adempimento. Avrei su questo punto qualche eccezione in quanto l'inadempimento fa data anteriore la scadenza, ma tanté. Con questo tuttavia la sentenza chiude le porte alla richiesta comunale di adempimento, rimanendo aperta solo la questione di un eventuale risarcimento. Su questo punto sempre la sentenza, considerato che l'inadempimento era imputabile, seppur parzialmente alla Regione, apre invece le porte alla richiesta risarcitoria formulata dal Comune e con un po' di conteggi ed altre considerazioni che vi esonero, arriva alla cifra di euro 1.080.000,00 oltre interessi che vi avevo anticipato, calcolati dalla data di proposizione del ricorso a quello della sentenza. Questa volta almeno le spese di causa dovrà pagarle la Regione, magra consolazione, fanno 5.000,00 euro. Credo che la sintesi sia esaustiva. Per ora almeno.

mercoledì 25 marzo 2020

PALAZZOLA: UNA SENTENZA



Pubblichiamo, in integrale, la sentenza con la quale il Tar ha deciso sulla controversia tra Regione e Comune in merito al mancato finanziamento del restauro della Villa. Nei prossimi giorni commenteremo questa sentenza abbastanza complessa e che probabilmente scontenta i più, ma che comunque dovrebbe porre un punto e a capo nella irrisolta e ormai secolare questione.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 22 del 2015, proposto dal Comune di Stresa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Teodosio Pafundi, con domicilio eletto presso il suo studio in Torino, corso Re Umberto, 27;
contro
Regione Piemonte, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Giuseppe Piccarreta, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Fondazione Onlus Villa Palazzola, non costituita in giudizio;
per l'accertamento
dell'inadempimento da parte della Regione Piemonte degli obblighi assunti con il Protocollo d'Intesa del 9.4.2004, con l'Accordo di Programma del 10.12.2004, nonché con l'atto di costituzione della Fondazione Onlus Villa Palazzola del 27.10.2004;
e per la condanna
della Regione Piemonte, in persona del Presidente della Giunta Regionale in carica, ad adempiere ai suddetti obblighi e, per l'effetto, previo eventuale stanziamento in bilancio delle somme necessarie, a corrispondere in favore della Fondazione Onlus Villa Palazzola la somma pari ad Euro 4.557.381,46, oltre interessi legali;
nonché per la condanna
della Regione Piemonte al risarcimento dei danni subiti e subendi dal Comune di Stresa – quantificati nel corso del giudizio - per effetto dell'inadempimento del Protocollo d'Intesa, dell'atto costitutivo della Fondazione e dell'Accordo di Programma.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Regione Piemonte;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 febbraio 2020 il dott. Marcello Faviere e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. In data 9.4.2004 la Regione Piemonte ed il Comune di Stresa siglavano un Protocollo d’intesa con il quale si impegnavano alla realizzazione di un programma di interventi consistenti nel restauro, recupero e valorizzazione del complesso immobiliare di proprietà civica denominato “Villa La Palazzola”. I due enti si impegnavano alla sottoscrizione di un Accordo di Programma, ai sensi dell’art. 34 del D. Lgs. n. 267/2000, che è stato sottoscritto in data 10.12.2004 e contiene la disciplina di dettaglio, le modalità e la tempistica per l’attuazione dell’intervento edilizio.

2. I sottoscrittori si impegnavano a dar vita ad un’apposita Fondazione, poi regolarmente costituita con atto del 27.10.2004, cui il Comune avrebbe conferito il predetto immobile e la Regione erogato la somma di euro 5.000.000,00 per la realizzazione delle opere oggetto dell’Accordo. Le procedure di affidamento dei lavori sarebbero state esperite proprio dalla Fondazione.

3. Il citato Accordo di Programma, distinto in due fasi (la prima per la definizione delle modalità attuative dell’intervento nel suo complesso e la seconda, definita come “appendice di carattere attuativo”, per l’approvazione dei progetti e le eventuali varianti urbanistiche) disciplinava, tra le altre cose, le modalità di erogazione delle somme messe a disposizione dalla Regione. Queste sarebbero state liquidate mediante due anticipazioni per la remunerazione delle fasi di progettazione (una per la progettazione preliminare, che la Regione avrebbe liquidato subito, e l’altra per la definitiva, su richiesta della Fondazione) ed un saldo erogato per stati di avanzamento delle opere aggiudicate (con le modalità di cui alla L.R.P. n. 18/1984). La durata complessiva dell’Accordo era pari a 10 anni decorrenti dalla pubblicazione del decreto di approvazione da parte del Sindaco (avvenuta sul B.U.R.P. n. 2 del 13.1.2005), eventualmente prorogabile solo su iniziativa delle parti mediante valutazione del Collegio di Vigilanza istituito per il monitoraggio dell’Accordo. Erano previste, infine, una scadenza intermedia per la realizzazione del progetto preliminare (fissata al 31.12.2005) nonché la contribuzione al funzionamento della fondazione, la cui entità e modalità di erogazione venivano meglio poi specificate nell’atto costitutivo della stessa.

4. Il progetto preliminare è stato approvato dai rappresentanti delle parti in data 21.09.2010. La relativa quota di anticipazione di € 250.000,00 (pari al 5% del finanziamento complessivo) era già stata liquidata nel 2007 dalla Regione.

5. La successiva progettazione definitiva è stata approvata, previa conclusione di apposita Conferenza dei Servizi, in data 25.05.2011. La Fondazione, come da previsioni negoziali, ha richiesto le relative somme. La Regione ha corrisposto l’importo nel 2012 solo a seguito di decreto ingiuntivo emesso in favore dei professionisti medesimi (dopo che a copertura di tale fase era comunque stata stanziata la somma di € 410.000 totali sin dal 2010).

6. A causa del passaggio del tempo e della non utilizzazione dei fondi stanziati, la rimanente quota del contributo è caduta in perenzione amministrativa.

7. Nel corso di svolgimento delle operazioni previste dall’Accordo, la Regione, a fronte delle richieste provenienti dal Comune di Stresa, sin dal 25.10.2011 ha iniziato a manifestare difficoltà a proseguire con l’attuazione degli impegni assunti nell’Accordo, pretendendo dettagli su pianificazione e modalità gestionali, palesando ragioni di natura finanziaria legate alla congiuntura del momento sino a chiedere, in occasione dell’incontro del 5.10.2012 del Collegio di Vigilanza (organo disciplinato dall’art. 12 dell’Accordo), la modifica delle condizioni economiche originariamente pattuite, stante l’impossibilità a stanziare nuovamente le somme perente.

8. La Regione, a fronte delle reiterate richieste di liquidazione delle somme residue da parte del Comune, articolava altresì le proprie contestazioni in base ai seguenti fatti: non sarebbe mai stata stipulata la “specifica appendice contrattuale” prevista dall’Accordo; non si sarebbero mai verificate “le condizioni per l’applicazione dell’art. 11 della l.r. 18/1984” (che prevede la liquidazione delle somme stanziate per opere a stato avanzamento lavori: 30% del contributo concesso alla stipula del contratto dei lavori; 30% del contributo previa presentazione dello stato di avanzamento emesso al raggiungimento del 30% dei lavori in contratto; 30% a presentazione dello stato finale; 10% od il minor importo necessario, a presentazione del certificato di collaudo o del certificato di regolare esecuzione, nonché del quadro economico di tutte le spese sostenute per la realizzazione dell'opera).

9. A fronte di tale situazione il Comune di Stresa, nel mese di gennaio 2015, ha proposto ricorso avanti questo TAR chiedendo, previo accertamento dell’inadempimento della Regione degli obblighi assunti con i sopra citati atti (Protocollo di Intesa, Accordo e Atto Costitutivo della Fondazione), la condanna della stessa a garantire la capienza degli stanziamenti di bilancio ed a corrispondere alla Fondazione la somma di euro 4.557.381,46 nonché il risarcimento dei danni subiti, riservandosi peraltro di chiedere la risoluzione dell’Accordo ed i relativi danni. Nel ricorso viene evidenziato che, ai danni diretti, si aggiungerebbe la perdita di un contributo di euro 500.000 che la Fondazione Cariplo aveva deliberato nel 2008 per la realizzazione dei lavori e al quale, a causa del comportamento dell’amministrazione regionale, la Fondazione ha dovuto rinunciare nel 2012.

10. In pendenza di ricorso, la Regione con delibera D.G.R. n. 1-2581 del 14.12.2015, nel nominare i propri rappresentanti in seno al C.d.A. della Fondazione ‘Villa La Palazzola’, prendeva atto che la stessa non aveva conseguito le finalità previste dall’articolo 3 dello Statuto; che, ad avvenuta scadenza decennale dell’accordo, si trovava nell’impossibilità di “perseguire lo scopo fondativo” e che, quindi, vi erano i presupposti per procedere, ai sensi dell’art. 13 dello Statuto, alla relativa estinzione.

11. Nel corso degli anni 2016-2019 i due enti hanno dato vita ad una serie di incontri per addivenire ad una soluzione bonaria della vertenza. La Regione ha proposto al Sindaco alcune bozze di accordo transattivo, riviste progressivamente anche in accoglimento delle richieste comunali. Nel corso di tali trattative le parti ipotizzavano dapprima la riduzione della partecipazione regionale nella Fondazione, in un secondo momento la soppressione della stessa e, in ultimo, il suo mantenimento in vita con l’estromissione dell’amministrazione regionale dalla compagine fondativa, lasciando il Comune come unico partecipante. In ogni caso la Regione si impegnava a liquidare una somma di euro 1.300.000,00 a titolo di “indennizzo per lo scioglimento consensuale dei suddetti accordi amministrativi in ragione delle mutate esigenze di interesse pubblico, anche al fine di garantire comunque al Comune di Stresa il perseguimento, per il tramite della Fondazione, degli obiettivi di recupero e valorizzazione del compendio immobiliare in oggetto”. Le prime ipotesi di accordo sono state anche versate in due delibere della Giunta Regionale (D.G.R. n. 33-8346 del 25.1.2019 e D.G.R. n. 24-8852 del 29.4.2019) che approvavano i relativi schemi e stanziavano le somme necessarie in bilancio. Il 24.9.2019 la Regione sollecitava un incontro per la discussione dell’ultima bozza di accordo formulata in base alle ulteriori e successive controproposte del Comune. I primi di ottobre tale definizione avviene e, di conseguenza, l’ultima proposta veniva accettata dal Sindaco di Stresa con nota del 25.10.2019, con la quale si indicava altresì un percorso di conclusione dell’iter, compreso il passaggio in Consiglio Comunale per l’approvazione dello schema di Accordo.

12. Nel frattempo, comunque, l’amministrazione comunale, in data 9.9.2019 ha depositato presso questo TAR istanza di prelievo chiedendo la fissazione dell’udienza per la decisione del ricorso.

13. Il Consiglio Comunale di Stresa, chiudendo l’iter di cui sopra, con delibera n. 60 del 13.12.2019, ha deciso di non accettare la proposta di accordo formulata dalla Regione, in quanto gli interventi di ristrutturazione e recupero funzionale del complesso immobiliare Villa Palazzola, risponderebbero tuttora ad un interesse concreto del Comune. Quest’ultimo, pertanto, prosegue con le proprie richieste di corresponsione degli originari importi previsti dagli accordi amministrativi.

14. Nel presente giudizio si è costituita la Regione Piemonte che ha prodotto documenti e memoria difensiva sui vari motivi di ricorso.

15. Anche il Comune di Stresa ha depositato ulteriore documentazione ed, in data 18.01.2020, una memoria nella quale, oltre alla conferma della condanna della Regione Piemonte a garantire la capienza dello stanziamento in bilancio ed a corrispondere la somma residua del contributo (che viene qui ridotta da euro 4.557.381,46 ad euro 4.502.995,77, oltre interessi legali dal 10.12.2014), viene quantificata la richiesta di risarcimento degli ulteriori danni subìti dal Comune di Stresa - per effetto dell’inadempimento del Protocollo d’Intesa, dell’Accordo di Programma, nonché dell’atto di costituzione della Fondazione - nella misura di Euro 4.575.992,00, oltre interessi legali fino al saldo effettivo.

16. Ha fatto seguito il deposito di memoria di replica da parte della Regione Piemonte in data 29.01.2020. Alla stessa data anche il Comune depositava memoria di replica. In data 17.02.2019 la Regione ha depositato ulteriore documentazione.

17. Infine nella pubblica udienza del 19 febbraio 2020 la causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO

1. Con il primo motivo del ricorso in epigrafe il Comune di Stresa chiede la condanna della Regione Piemonte, previo accertamento dell’inadempimento, a garantire lo stanziamento per le attività di progettazione ed esecuzione delle opere oggetto dell’Accordo e, quindi, alla corresponsione della somma di 4.557.381,46 (poi rettificata in € 4.502.995,77), oltre interessi legali. A tale petizione si giunge dopo aver puntualizzato che dal Protocollo di Intesa e dall’Accordo di Programma del 2004 la Regione si sarebbe vincolativamente obbligata a: corrispondere il contributo di euro 5.000.000,00; versare l’anticipazione del 5% per le attività di progettazione preliminare; far seguire all’accordo un’appendice contrattuale “meramente attuativa”; ricercare tutte le risorse finanziarie “aggiuntive” eventualmente necessarie per consentire l’attuazione degli interventi compresi nel progetto preliminare e, infine, a compiere tutte le azioni necessarie per consentire alla Fondazione di realizzare gli interventi oggetto dell’Accordo. Orbene, la Regione avendo versato solo le somme di euro 250.000,00 (a titolo di anticipazione del 5% sul totale della somma prevista) e euro 247.004,23 (con due mandati, pari a euro 54.385,69 ed euro 192.618,54 quale corrispettivo per le prestazioni professionali relative alla progettazione definitiva), dovrebbe versare i restanti euro 4.502.995,77 per consentire il prosieguo delle attività della Fondazione.
La Regione nella propria memoria evidenzia di aver adempiuto ai propri impegni corrispondendo le somme relative alla progettazione preliminare nonché alla progettazione definitiva. La mancata copertura delle spese relative alla progettazione esecutiva e delle opere sarebbe derivata da ragioni ad essa non imputabili, vale a dire: a) dal mancato perfezionamento della cd. Appendice Contrattuale prevista per avviare la seconda fase dell’Accordo di programma e, di conseguenza, dalla mancata realizzazione della progettazione esecutiva; b) dalla mancata aggiudicazione dei lavori e conseguente impossibilità di liquidare le restanti somme destinate all’esecuzione dell’opera ai sensi dell’art. 11 della L.R.P. n. 18/1984; c) dalle difficoltà finanziario-contabili derivanti dalla contrazione della spesa pubblica intervenuta negli anni 2011-2013 a causa della crisi economica globale, che non ha reso possibile, in considerazione della riduzione dei trasferimenti erariali, la riassegnazione a bilancio delle somme stanziate per l’Accordo di Programma ed andate in perenzione amministrativa e, di conseguenza, non ha consentito il completo adempimento della prestazione per ragioni di impossibilità sopravvenuta. Parte resistente, inoltre, eccepisce che essendo spirati, al 14.01.2015, i termini decennali di durata dell’Accordo, nessuna prestazione sarebbe dovuta in base ad un accordo scaduto.
Questo Tribunale ritiene che la domanda di accertamento dell’inadempimento possa trovare accoglimento, nei sensi e nei limiti di seguito precisati; mentre sia da respingere la domanda di condanna della Regione a garantire la capienza dello stanziamento in bilancio delle risorse necessarie ed a corrispondere alla Fondazione il contributo non ancora versato (oltre interessi).
Quanto a quest’ultima domanda, sebbene sia provato che la Regione non abbia adempiuto alla parte restante della principale delle prestazioni (versamento della quota di euro 4.502.995,77), occorre evidenziare come il diritto a tale adempimento sia venuto meno in virtù della scadenza dell’Accordo.
La durata decennale dell’Accordo, prevista all’art. 9 del testo sottoscritto, assume palesemente carattere essenziale e determinante nella complessiva dinamica interpretativa del testo e dei fatti. Da un lato, infatti, appare connaturato alla natura pubblicistica di un Accordo di Programma l’esigenza di legarne l’attuazione a tempi certi, soprattutto per esigenze di efficienza ed efficacia della allocazione delle risorse pubbliche. Lo stesso testo dell’Accordo esclude, infatti, ipotesi di prosecuzioni automatiche o semplicemente legate alla conclusione delle opere da realizzare, prevedendo la possibilità di addivenire ad una eventuale proroga solo previa valutazione del Collegio di Vigilanza (praticamente un nuovo assenso). Opzione non esercitata dalle parti in causa. La giurisprudenza ha riconosciuto in tali ipotesi “l'applicabilità dell'istituto della risoluzione di diritto tutte le volte che si sia in presenza di un'ipotesi di essenzialità soggettiva del termine e, quindi, tutte le volte in cui le parti hanno escluso il persistere dell'interesse all'esecuzione della prestazione oltre il termine indicato” (T.A.R. Puglia Bari Sez. III, 27/07/2017, n. 869).
Il carattere essenziale del termine […] va accertato, invece, anche alla stregua di specifiche ed inequivoche espressioni dell'oggetto del contratto, la cui utilità economica perseguita dalle parti andrebbe perduta a causa dell'inutile decorso del termine pattuito… il termine si deve ritenere essenziale quando la sua improrogabilità risulti dalle espressioni adoperate dai contraenti, anche senza l'uso di formule sacramentali, ovvero dalla natura e dall'oggetto del contratto, la cui utilità economica andrebbe perduta per effetto dell'inutile decorso del termine pattuito (Cons. Stato Sez. V, 29/05/2019, n. 3575).
Dall’altro lato, come in più occasioni sostenuto dalla difesa Regionale, lo scorrere del tempo ha contribuito a determinare la progressiva carenza di interesse verso l’intervento tanto che sin dal 2011 e, in modo più deciso, dagli incontri e dalle comunicazioni del 2012, appare evidente la volontà di non riassegnare le somme perente, nonché quella di rivalutare l’impegno regionale nel progetto. A ciò si aggiunga che, a qualche mese di distanza dalla scadenza dell’Accordo, con D.G.R. n. 1-2581 del 14.12.2015 la Regione, nella parte motivazionale del provvedimento, prendeva atto del venir meno dello scopo della fondazione che non aveva realizzato gli interventi per cui era stata costituita. Appare, pertanto, inequivocabile la perdita dell’utilità economica del contratto percepita con l’inutile decorso del termine medesimo.
Alle considerazioni sugli effetti estintivi dello spirare del termine finale dell’Accordo, se ne aggiungono altre scaturenti dal particolare contesto giuridico, non del tutto privatistico, all’interno del quale tali mancati adempimenti sono maturati e che rafforzano ulteriormente le considerazioni già svolte.
E’ noto che per giurisprudenza costante un Accordo di Programma si sostanzia in un “provvedimento amministrativo adottato dalle amministrazioni pubbliche e dai soggetti pubblici che vi partecipano - con esclusione quindi dei privati eventualmente coinvolti nella sua attuazione - al fine di assicurare l'azione integrata e coordinata di più amministrazioni per la realizzazione di un programma comune [..] con questo modello convenzionale l'amministrazione esercita una funzione pubblica” (C. Stato, sez. V, 16-03-2016, n. 1053). Come già evidenziato da questo Tribunale “l'immanenza del potere di revoca rende, pertanto, incompatibile con la fattispecie degli accordi tra amministrazioni l'applicazione del principio civilistico della fissità degli effetti del contratto che è destinato a recedere a fronte della inesauribilità del potere finalizzata alla cura dell'interesse pubblico. 3.3. Deve dunque ritenersi legittima la facoltà riconosciuta ad una pubblica amministrazione di recedere in via unilaterale dall'accordo sottoscritto con altre amministrazioni, sia che la predetta facoltà sia stata espressamente pattuita nell'accordo, come avvenuto nel caso di specie, sia che l'accordo nulla preveda a tal proposito. L'esercizio del potere con lo strumento organizzativo consensuale assicura la massima semplificazione dell'azione amministrativa, [..] non tollera che l'esercizio dell'autonomia collettiva da parte dell'amministrazione ed il vantaggio che ne consegue in termini di maggiore vincolatività dell'accordo rispetto al provvedimento […] possano rappresentare un limite alla piena realizzazione dell'interesse pubblico” (T.A.R. Piemonte Sez. I, Sent., 16.05.2019, n. 600). Sempre questo Tribunale ha poi riconosciuto che gli Accordi di Programma ex art. 34 L. n. 267/2000 “non hanno la natura di negozi di diritto privato, ma quella di moduli convenzionali ad oggetto pubblico attraverso i quali le Amministrazioni perseguono fini di interesse generale con i medesimi vincoli dell'attività pubblicistica "tradizionale", primo tra tutti quello di bilancio” (TAR Piemonte sez. II - Torino, 27/03/2014, n. 540).
In tali vincoli ben possono ascriversi le conseguenze della crisi economico finanziaria degli ultimi anni, qualora queste si traducano in concreti interventi di razionalizzazione delle disponibilità specifiche per investimenti.
Nel caso di specie è dimostrato che la Regione Piemonte si è vista ridurre, in conseguenza alla contrazione dei trasferimenti erariali, la capienza dei competenti titoli di bilancio di oltre il 27% (pari ad oltre 400 milioni di euro). Il richiamo alla crisi economica attuale invocato da parte resistente appare tutt’altro che vago: contrariamente a quanto sostiene parte ricorrente nel citare giurisprudenza sul punto, in questo caso non si possono addebitare alla Regione atteggiamenti paragonabili ad erronee “scelte di un operatore che si assume un rischio di impresa” (cfr. TAR Lombardia Milano, 21.05.2013, n. 1337). Le ragioni di interesse generale che sottendono l’attuazione degli Accordi di Programma sono le stesse che hanno condotto parte resistente ad una nuova prioritizzazione degli interventi da finanziare con le minori risorse a disposizione. L’Amministrazione regionale, pertanto, resta titolare di un potere discrezionale di ri-allocazione delle risorse finanziarie sulla base del nuovo e mutato contesto esterno, poiché tale nuova ponderazione degli interessi pubblici da perseguire si appalesa quale conseguenza diretta della contrazione dei trasferimenti erariali sul bilancio.
In tale contesto l’amministrazione avrebbe potuto ridurre proporzionalmente tutti gli interventi o procedere ad una nuova allocazione delle risorse. L’esclusione degli interventi non ancora “avviati”, quali quelli oggetto dell’Accordo di Programma di cui si discute, da quelli meritevoli di finanziamento rileva qui sotto due profili. Prima di tutto, appare una soluzione non illogica, nell’esercizio di poteri legittimi di cui resta titolare l’amministrazione. Anche per questa ragione la domanda di condanna a garantire la capienza dello stanziamento in bilancio, strumentale alla liquidazione della parte residua del finanziamento a favore della Fondazione, non può trovare accoglimento. Del resto il sindacato che questo Tribunale può condurre sul comportamento della Regione, quale parte contraente di un accordo di programma- mediante il quale si continua a perseguire la tutela dell’interesse pubblico - si limita a constatare la ragionevolezza e la razionalità complessiva dei comportamenti posti in essere, senza poter entrare nel merito delle scelte considerate dalla Regione meritevoli o meno di attenzione prioritaria.
In secondo luogo il rilievo dato allo stato di avanzamento delle opere da finanziare, conferma ulteriormente l’essenzialità del fattore “tempo” nel novero degli interessi delle parti. Il rispetto del termine massimo di dieci anni assume nuovamente, anche a seguito delle valutazioni gestionali della Regione, carattere dirimente e dimostra una volta di più la rilevanza soggettivamente essenziale attribuita al termine finale nel testo dell’Accordo.
Ferma restando la risoluzione di diritto dell’Accordo, si passa ora a esaminare il profilo della imputabilità dell’inadempimento. Parte resistente sostiene di: non aver liquidato le somme per l’avvio della progettazione esecutiva poiché non si sarebbe proceduto alla sottoscrizione dell’Appendice contrattuale di cui l’Accordo parla in più punti ed, in particolare, agli artt. 3 e 9; non aver potuto procedere al saldo della somma residua poiché non ricorrerebbero i presupposti di cui all’art. 11 della LRP n. 18/1984; non aver potuto adempiere alle restanti prestazioni versate nell’Accordo anche per impossibilità sopravvenuta, a seguito delle rilevanti contrazioni di bilancio dovute alla riduzione dei trasferimenti erariali a decorrere dagli esercizi 2011/2012.

Quanto al primo ordine di ragioni l’Accordo prevedeva – sebbene in un quadro negoziale a dire il vero non del tutto chiaro e lineare - che l’Appendice contrattuale aggiuntiva (di cui si parla nelle premesse, oltre che agli artt. 3 e 9), avrebbe dovuto avviare la cd. Seconda Fase mediante approvazione dei progetti preliminare e definitivo, quantificando l’ulteriore anticipazione finanziaria per la definizione delle ulteriori fasi della progettazione (definitiva ed esecutiva) ed adottare eventuali varianti urbanistiche. Orbene questa Appendice contrattuale non è mai stata formalmente sottoscritta, anche se la Fondazione ha proceduto all’affidamento della progettazione definitiva e la Regione al relativo pagamento (anche se a seguito dell’emissione di decreto ingiuntivo da parte dei professionisti incaricati). In giudizio nulla si dice dei tentativi del Comune o della Fondazione di addivenire alla stipula della citata Appendice né sono circolate o sono state scambiate bozze. Nei fatti è provato solo che la Fondazione, dopo l’approvazione della progettazione definitiva, abbia proceduto a richiedere l’ulteriore anticipazione e che le parti abbiano, comunque, tentato di avviare la seconda fase dell’Accordo bloccata, di fatto, dalla sopravvenuta indisponibilità delle somme stanziate a bilancio.

Quanto al secondo motivo, è palese che l’amministrazione regionale non abbia potuto procedere al saldo della somma residua poiché, ai sensi dell’art. 11 della LRP n. 18/1984, la relativa liquidazione avrebbe dovuto procedere per stati di avanzamento di lavori che non sono mai stati aggiudicati. Sul punto è priva di pregio la pretesa di parte ricorrente di riconoscere un obbligo incondizionato, in capo alla Regione, di trasferire l’intero contributo e, di conseguenza, anche il saldo che ne rimaneva al netto delle anticipazioni versate. Il Protocollo di intesa, infatti, al punto 3 condiziona tale prestazione alla stipula dell’Accordo e rinvia al contenuto di quest’ultimo la definizione delle modalità attuative ed i conseguenti adempimenti attribuibili a carico di ciascuna delle parti. L’Accordo di programma, quindi, condiziona in maniera inequivocabile l’esigibilità del contributo (in particolare del saldo al netto delle anticipazioni) alle procedure liquidatorie di cui all’art. 11 della LRP n. 18/1984, che presuppongono l’aggiudicazione delle opere. L’esigibilità della parte residua del contributo, pertanto, risulta vincolata ai presupposti, oltre che alle modalità, indicati nell’Accordo che non si sono realizzati.
A ciò si aggiungano gli effetti della terza motivazione, vale a dire l’impossibilità sopravvenuta scaturente dalle contrazioni di bilancio, su cui si è già argomentato e si tornerà in seguito; al momento basti evidenziare che, quanto meno parzialmente, hanno credibilmente impedito l’esatto adempimento delle prestazioni versate nell’Accordo.
Da quanto delineato emerge, da un lato, un quadro di parziali inadempimenti di non chiara ed univoca imputabilità poiché riconducibili al concorso di entrambe le parti alla mancata realizzazione dei presupposti previsti dall’Accordo; dall’altro una parziale impossibilità sopravvenuta che porta ad escludere la piena imputabilità alla Regione del mancato, esatto adempimento.
Concludendo, sul primo punto, va dichiarato che l’inadempimento delle prestazioni oggetto dell’Accordo di Programma è imputabile solo parzialmente all’amministrazione regionale, non sussistendo comunque, visto lo spirare dei termini finali dell’Accordo e l’estinguersi di tutti i suoi effetti obbligatori, il diritto di parte resistente ad una condanna a garantire lo stanziamento delle risorse necessarie per corrispondere alla Fondazione il contributo non ancora versato.

2. Quanto al secondo motivo di ricorso, vale a dire la richiesta di risarcimento dei danni subiti dal Comune, questo Collegio ritiene che, stante l’inadempimento imputabile parzialmente alla Regione, questa possa essere accolta, seppure con i necessari temperamenti, in punto di quantificazione, che si illustrano di seguito.
A tale scopo occorre considerare tre elementi fondanti la pretesa: la natura del danno vantato, la parziale impossibilità sopravvenuta delle prestazioni, il concorso del Comune nella determinazione del danno.
Partendo dal primo punto si evidenzia che parte ricorrente chiede la corresponsione di una somma pari al valore dell’immobile (stimato in euro 5.580.000,00) o alla minor somma che dovesse ritenersi equa, per il mancato sfruttamento dello stesso e la mancata destinazione ad altre attività di pubblico interesse (cd. danno da sottrazione del valore d’uso). Nella memoria depositata il 18.01.2020, il Comune precisa che il pregiudizio patrimoniale sarebbe in re ipsa e quantifica il danno in euro 4.196.160,00 (poi rettificato in euro 4.185.000,00), applicando analogicamente il metodo di calcolo previsto all’art. 42-bis, comma 3, del DPR 8.06.2001, n. 327 che così recita: “Salvi i casi in cui la legge disponga altrimenti, l'indennizzo per il pregiudizio patrimoniale di cui al comma 1 è determinato in misura corrispondente al valore venale del bene utilizzato per scopi di pubblica utilità e, se l'occupazione riguarda un terreno edificabile, sulla base delle disposizioni dell'articolo 37, commi 3, 4, 5, 6 e 7. Per il periodo di occupazione senza titolo è computato a titolo risarcitorio, se dagli atti del procedimento non risulta la prova di una diversa entità del danno, l'interesse del cinque per cento annuo sul valore determinato ai sensi del presente comma”.
Questo Collegio condivide in parte tale ricostruzione.
L’amministrazione comunale qualifica il danno vantato come in re ipsa. La giurisprudenza amministrativa, anche se in maniera non univoca, ha recentemente riconosciuto la possibilità di un danno in re ipsa in caso di sottrazione e lesione del godimento di un bene nei casi di occupazione illegittima da parte della pubblica amministrazione, pretendendo quindi, quale presupposto giuridico, la presenza di un illecito permanente. A fondamento di tale ricostruzione ha riconosciuto la necessità che oggetto “immediato” di tale comportamento illecito e lesivo della pubblica amministrazione debba essere la facoltà di godimento del bene inerente il diritto di proprietà, cioè una parte del contenuto tipico di tale diritto, non altri poteri di impiego e disposizione (cfr. Cons. Stato Sez. IV, 27.5.2019, n. 3428).
Orbene, nella fattispecie in esame, tale collegamento diretto tra condotta della resistente e facoltà di godimento del diritto di proprietà del Comune sussiste. In questo particolare caso, il danno subito dal titolare del diritto viene a coincidere con un evento contrario agli assetti di interessi cristallizzati nell’Accordo e ne è conseguenza diretta. È evidente, dalla ricostruzione dei fatti in causa che il cespite patrimoniale sia stato inutilmente trattenuto in una situazione di indisponibilità giuridica poiché destinato agli scopi fondativi. L’inadempimento Regionale, non avendo consentito la realizzazione degli scopi fondativi, ha direttamente inciso sull’infruttuoso permanere di tale destinazione.

Passando al secondo profilo, vale a dire la valutazione della parziale impossibilità sopravvenuta, si è accennato al fatto che l’inadempimento regionale delle prestazioni versate nell’Accordo possa essere effettivamente ascritto alle difficoltà economiche e finanziarie lamentate da quest’ultima e derivanti dagli obblighi di contrazione della spesa imposti da interventi normativi statali. In particolare: a) dal D.L. 31 maggio 2010, n. 78 "Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività' economica", convertito con modificazioni dalla L. 30 luglio 2010, n. 122, (che ha imposto alle Regioni a statuto ordinario di concorrere alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica per il triennio 2011-2013, in termini di fabbisogno e indebitamento netto, nella misura di 4.000 milioni di euro per l’anno 2011 e per 4.500 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2012); b) dalla Legge 12 novembre 2011, n. 183 "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di Stabilita' 2012)”, che ha ridotto la percentuale limite per la contrazione di nuovo indebitamento.
In sostanza la Regione Piemonte ha potuto contare su un livello di trasferimenti erariali inferiore che ha contratto strutturalmente il bilancio per circa 450 milioni di euro annui a partire dal 2012. Un quadro ben diverso da quello che si presentava nel 2004 quando gli atti di cui si chiede l’adempimento erano stati sottoscritti. La difesa regionale ha, infatti, dimostrato come sui competenti Titoli di Bilancio si sia passati dallo stanziamento di 1.581,73 milioni di euro previsti per il 2008 a 1.160,97 milioni di euro nel 2018, passando da una media di 1.522,52 (nel periodo 2008/2010) ad una di 1.103,59 milioni di euro (nel periodo 2011/2018). La riduzione annua media è pari al 27,52% (corrispondente a circa 418 milioni).
Ai soli scopi di giungere alla individuazione dei criteri di determinazione del danno appare plausibile ritenere che la ridotta capacità di investimento della Regione possa fornire un utile criterio per stabilire l’incidenza di tale impossibilità sull’ammontare complessivo dei danni quantificabili.

Quanto al terzo ed ultimo profilo è innegabile che il comportamento che parte ricorrente ha mantenuto, soprattutto nel periodo più recente che va dagli anni 2012 al 2017 e, in maniera più intensa, dal 2018 al 2019, abbia inevitabilmente concorso a determinare l’entità dei danni vantati.
Sin dagli anni 2011-2012 la Regione ha tentato di sospendere l’attuazione dell’Accordo e rivederne gli impegni finanziari. Questi tentativi si sono evoluti, dopo la proposizione del ricorso avanti questo Tribunale, in una concreta trattativa per giungere ad una soluzione bonaria della controversia. Come sopra riportato, la Regione ha proposto al Comune alcune bozze di accordo transattivo, riviste più volte anche in accoglimento delle repliche comunali, che prevedevano dapprima la riduzione della partecipazione regionale nella fondazione, in un secondo momento la soppressione della stessa e, in ultimo, il suo mantenimento in vita con la definitiva estromissione dell’amministrazione regionale dalla compagine fondativa.
Con l’evolversi delle trattative, quindi, il Comune sarebbe potuto divenire l’unico partecipante della Fondazione (mediante il recesso della Regione Piemonte). Contestualmente la Regione avrebbe versato la somma di euro 1.300.000,00 a titolo di indennizzo per lo scioglimento degli accordi amministrativi (in particolare il Protocollo di intesa) ed al fine di garantire al Comune, per il tramite della Fondazione, il perseguimento degli obiettivi di recupero e valorizzazione del compendio immobiliare. Attraverso l’Accordo il Comune sarebbe rientrato nella disponibilità sostanzialmente piena del bene e la Fondazione avrebbe ottenuto disponibilità, seppur limitata rispetto alle previsioni iniziali, di capitale utile per perseguire i propri scopi. Ipotesi di accordo che, peraltro, il Sindaco del Comune sembrava aver accettato dal momento che, con nota del 25.10.2019, comunicava alla parte resistente di concordare con il testo proposto in occasione di un incontro svolto in data 2 ottobre e precisava quali sarebbero stati i passaggi per perfezionarne l’approvazione. Come già riportato in punto di fatto, però, il Consiglio Comunale, dopo che la difesa dell’amministrazione, nel mese di settembre, proponeva istanza di prelievo avanti questo TAR, con la citata delibera del 30.11.2019 rigettava la proposta di accordo. Questa serie di comportamenti non univoci protratti nel tempo ha concorso a determinare la situazione di pregiudizio lamentata dall’amministrazione comunale che avrebbe potuto riacquisire, di fatto, la disponibilità dell’immobile (oltre ad avere liquidità per effettuare investimenti) quantomeno dal 2018.
Parte ricorrente richiede, altresì, il risarcimento di tutte le spese sostenute per il mantenimento della Fondazione e che, a causa del mancato versamento dell’intero contributo di cinque milioni da parte della Regione, sarebbero state inutili dato che la Fondazione non ha potuto svolgere i propri compiti istituzionali. La somma calcolata dalla ricorrente ammonta ad euro 390.992,00, per il periodo 2005/2019. Questo Collegio ritiene che per tale voce di danno non possano essere applicate le considerazioni sopra svolte in quanto, lungi dall’essere qualificabile come danno evento, non è diretta conseguenza dell’inadempimento regionale. Tali spese, infatti, sarebbero dovute essere sostenute ugualmente ed indipendentemente dalla condotta di parte resistente. Tale domanda, pertanto, non può essere accolta.
Tutto ciò premesso questo Collegio, nel ritenere la possibilità di un accordo tra le parti altamente improbabile, in considerazione dell’atteggiamento tenuto, soprattutto da parte della ricorrente, adotta i seguenti criteri di quantificazione: a) il valore di partenza è quello d’uso del bene che può quantificarsi, con valutazione equitativa ai sensi dell’art. 1226 c.c., nell’interesse del cinque percento annuo (su una base di quindici anni, dal momento della istituzione del vincolo di destinazione) sul valore venale del bene (valutato in euro 5.580.000,00, come da stima depositata in atti e non contestata dalle parti) in linea con i parametri già applicati dalla giurisprudenza amministrativa in casi analoghi; tale valore ammonta ad euro 4.185.000,00; b) il valore d’uso deve essere abbattuto della quota di prestazione divenuta impossibile per cause non imputabili alla Regione, e che può essere riconosciuta in quel 27,52% di contrazione media degli stanziamenti del pertinente titolo del bilancio regionale dimostrati da parte resistente (euro 1.151.712,00); d) ulteriore abbattimento grava sul valore d’uso a causa del concorso dell’amministrazione comunale al formarsi del danno ed al suo perdurare, per le ragioni sopra esposte, e che può essere parametrato ai sette anni trascorsi senza che l’amministrazione Comunale abbia considerato le chiare difficoltà finanziarie regionali sino a giungere ad inutili trattative e proposte di accordo più volte formulate, prima accettate e poi rinnegate; partendo sempre dalla base di quindici anni su cui distribuire il valore d’uso, l’incidenza dei sette anni costituenti l’abbattimento ammonta ad euro 1.953.000,00.
Applicando i criteri in parola, pertanto, questo Collegio accoglie la domanda di risarcimento del danno e lo quantifica in euro 1.080.000,00, oltre interessi legali dalla data della notifica del ricorso alla data del saldo effettivo. Con l’ulteriore precisazione che, non vi è riferimento nel presente computo al perduto finanziamento della Fondazione Cariplo in quanto estraneo alla voce di danno riconosciuta con la presente pronuncia.

3. Le spese seguono la parziale soccombenza e sono poste a carico di parte resistente.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:
Accerta l’inadempimento imputabile alla regione Piemonte; respinge la domanda di condanna a garantire la capienza dello stanziamento in bilancio delle risorse necessarie ed a corrispondere alla Fondazione Onlus “Villa Palazzola” il contributo non ancora versato e previsto dagli accordi amministrativi sottoscritti tra le parti;
Accoglie la domanda di risarcimento danni formulata e condanna la Regione Piemonte a corrispondere al Comune di Stresa la somma di euro 1.080.000,00 (un milione e ottantamila/00) oltre interessi legali dalla data della notifica del ricorso sino alla data del saldo effettivo.
Condanna parte resistente al pagamento delle spese del giudizio in favore della ricorrente nella misura di euro 5.000,00 (cinquemila/00), oltre gli accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
 
Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 19 febbraio 2020 con l'intervento dei magistrati:
Carlo Testori, Presidente
Silvia Cattaneo, Consigliere
Marcello Faviere, Referendario, Estensore







L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
Marcello Faviere
Carlo Testori














IL SEGRETARIO

martedì 24 marzo 2020

CRONACA NERA LOCALE



Riceviamo la richiesta di pubblicare questa storia. La vittima ci ha garantito la veridicità del racconto e ci ha prodotto la documentazione che la prova. A questo punto abbiamo accettato di pubblicarla, anche a garanzia e tutela di tutta la clientela delle banche. Non abbiamo però ritenuto pubblicare il nome della banca coinvolta. E' una decisione provvisoria che però, ove nei prossimi giorni la banca dovesse persistere nelle sue decizioni, saremmo costretti a farlo, non fosse altro per non coivolgere nel sospetto tutti gli isitituti bancari, anche quelli corretti e che potrebbero ricevere un danno dalla divulgazione di questa vicenda che invece non li vede coinvolti. Invitiamo i nostri lettori a diffondere sulla rete dei social questa storia, perchè riteniamo che la pubblicazione e la trasparenza sia un modo per convincere le banche a smetterla di rovinare la gente.

Vi racconto questa storia: ogni riferimento a fatti e persone non è affatto casuale, tutto è perfettamente vero ed è successo molto vicino a noi. Inizio il racconto:
Tra l'ottobre e il novembre dello scorso anno ad una persona normale che molti di noi conoscono, gli viene sottratta l’identità. Come ciò abbia potuto succedere non lo si è capito. Tracce nel suo P.C. non se ne sono rinvenute, e-mail strane non erano arrivate; sta di fatto che una banda criminale è riuscita ad associare il suo numero di cellulare con i suoi dati anagrafici e un componente la banda si è presentato, con un documento di identità falso, ad un negozio Vodafone di Caserta. Il negozio gli ha venduto una nuova scheda SIM. Non appena questa scheda é stata inserita in un smartphone, il cellulare del nostro personaggio ha smesso di funzionare. Passati alcuni giorni senza che il cellulare si potesse riattivare, il protagonista della nostra storia si presenta ad un negozio Vodafone. Qui suppongono che la scheda si sia smagnetizzata e gliene vendono una nuova. Tutto ok, il cellulare riprende a funzionare, ma dopo un paio di giorni va di nuovo in tilt. Era successo che, nuovamente, qualcuno si era presentato al medesimo negozio Vodafone di Caserta per acquistare una nuova Sim. Una volta acquistata si era inserito nuovamente nel numero di telefono del nostro ignaro protagonista. Non rimaneva che tornare alla Vodafone per capire cosa mai fosse successo. Ma alla Vodafone non è che stavano capendo molto. Uno gli dice che la colpa è del cellulare non della SIM e dunque che lo cambiasse. Rassegnato, sempre il nostro sfortunato protagonista, torna a casa e fatte alcune verifiche accerta che il suo smarphone funziona benissimo inserendo una scheda associata ad un altro numero, mentre non funziona affatto quando la scheda è quella del suo numero. A questo punto visita diversi negozi Vodafone. Finalmente qualcuno gli dice che c’è uno strano problema, cioè il numero della scheda installata non coincide con il numero che l’operatore Vodafone vede a video. Stranissimo, mai successo, torni al primo negozio gli dice e, così non paga un’altra volta, si faccia cambiare ancora la scheda. Un po’ stufo, ma obbligato, il protagonista ritorna alla prima Vodafone, racconta la storia e gli dicono che quelli dell’altra Vodafone non capiscono niente. Lui insiste e allora dopo ancora qualche insistenza, con grande meraviglia, gli dicono che è vero, che è capitata una roba stranissima, mai vista prima, e che quindi é meglio cambiare la Sim. Va bene, sfinito cambia la Sim, almeno non paga un’altra volta e dopo una mezzoretta il cellulare ritornerà a funzionare. Passerà circa una settimana e sulla strada di ritorno dalla Francia dove aveva passato qualche ignara giornata, il protagonista sta chiamando con il cellulare, ma il cellulare salta un’altra volta. Lo saprà dopo, ma proprio in quel momento nel medesimo negozio Vodafone di Caserta viene venduta, per la terza volta, una Sim associata al proprio numero di cellulare. Tornato a casa non sa più cosa fare, ma la soluzione arriva dalla banca presso la quale ha il proprio conto corrente. Un messaggio di posta elettronica lo avverte di contattare subito la banca stessa perché c’è un serio problema. Da lì a breve viene a conoscenza che ignoti sono penetrati nel proprio home banking e hanno svaligiato, con la ripetuta emissione di bonifici destinati ad un conto postale della provincia di Caserta, i 2 conti correnti presenti nel suo home banking: il proprio e quello da lui gestito con delega di un suo familiare. Tralascio l’importo dei prelievi, comunque un totale a 5 zeri. La Banca, poverina, è premurosa, gli fa fare la denuncia querela e qui lui scopre tutta la sequenza degli acquisti delle Sim, poi gli fa firmare la dichiarazione di disconoscimento dei bonifici. Gli da anche una buona notizia, uno dei bonifici è stato intercettato in tempo utile, è ancora su un conto postale e questi soldi torneranno tutti o quasi, a casa. Degli altri purtroppo non c’è più traccia, i conti postali sono stati svuotati subito e bene, ma tranquillo, la banca rimborsa. In effetti gli fanno sottoscrivere una specie di contratto dove sta scritto che la banca rimborsa subito le somme sottratte. C’è però anche una clausola, una riserva che dice che se entro la data del 11 marzo successivo, la banca dimostrasse che i bonifici invece erano stati autorizzati, in tal caso avrebbe il diritto di riprendersi i soldi rimborsati. Giusto per non sbagliare, il nostro protagonista rimborsato, chiederà da lì a poco alla banca le ragioni per le quali gli allarmi della sicurezza bancaria non erano scattati in tempo utile , ma solo molto tardivamente. 17/10-06/011 il periodo entro il quale i criminali hanno operato, 6 sim sostituite, un hardware diverso dall’abituale utilizzato, una carta di credito di un conto intestato a persona residente in loco fattasi rilasciare all’indirizzo di via Victor Ugo 21 di Casal di Principe (andatela a vedere su maps e capirete) 7 bonifici effettuati con importi quasi tutti sopra la soglia della legge sull’antiriciclaggio, un’operatività del conto assolutamente anomala rispetto alla media, un nuovo indirizzo di posta elettronica comunicato alla banca. Purtroppo la banca,a distanza di tempo non ha ancora risposto, ma l’ultimo giorno utile previsto dal contratto di rimborso ha mandato una letterina. Sta scritto che, effettuate le verifiche, non risulta imputabile alla banca alcunché per quanto accaduto e quindi, dispiaciuta per l’accaduto medesimo, si riprende i soldi del cliente. Così ha fatto, probabilmente un’appropriazione indebita, considerato che dal settembre dello scorso hanno vi è una legge che, a tutela del cliente, impone alle banche, in tali casi, un ben diverso comportamento. Si chiama l’inversione dell’onere della prova, ma il potere bancario sta sopra la legge.
Occhio quindi che se avete un conto, una home banking, una app del conto sul cellulare, se qualcuno prende la vostra identità ve lo svuota, la banca manco se ne accorge, poi fa finta di rimborsarvi e alla fine si riprende i vostri soldi, magari con gli interessi del 20,5% annuo se non ne trova abbastanza.

giovedì 19 marzo 2020

ANTI VIRUS







Allora ci siamo. Passata indenne o quasi dalla crisi iniziata nel 2008, la Perla aveva visto i numeri del suo Pil crescere quasi sempre, anno dopo anno. Era sembrato avere la certezza che niente e nessuno potesse fermarne l'avanzata. Le crisi finanziarie avevano certamente toccato i portafogli, più o meno consistenti, di una parte della sua popolazione stanziale, ma se questa aveva saputo resistere, la curva delle borse prima o poi avrebbe incominciato a risalire ed infatti ciò è poi avvenuto, forse anche troppo. Quanto alla crisi industriale, quella che aveva messo a terra un quarto della capacità produttiva della nazione, manco l'ombra. Insomma un bengodi. Certo il valore immobiliare era sceso, l'invenduto cresciuto ed il turismo congressuale in quegli anni era scomparso, d'altra parte per il povero Palacongressi già ci aveva pensato qualun altro ad azzerarne l'attività. Però intanto la globalizzazione faceva il suo corso e se entravano in crisi i turisti di una parte del mondo, venivano prontamente sostituiti da quelli provenienti da un'altra parte del mondo. Insomma, anche se il bicchiere si svuotava da una parte, si riempiva dall'altra. Tutto bene dunque ? Ma sì, se il Pil con il segno + e il bilancio aziendale pure sono valori assoluti, la risposta non può che essere quella. Ma adesso cambia. Non è scoppiata la terza guerra mondiale, quella è rimandata ancora di un po' di anni, ma improvvisamente, o quasi, si è cascati tutti in uno stato assolutamente paragonabile a quello bellico, almeno sul fronte interno. la prospettiva, niente affatto irrealistica, è la chiusura totale che si protrarrà sin quando nessuno ancora lo sa e anche quando si inizerà ad uscirne, non sarà certo un liberi tutti, ma con prudenza. Sta volta le crisi si sommeranno tutte assieme:quella finanziaria, già in corso, quella industriale, pure; quella economica che interesserà tutti i settori, salvi quelli essenziali; insomma se ci avessero tolto l'energia elettrica e lasciati al buio, oggi non sarebbe molto diverso. Quanto al turismo, gioco forza, questa volta è stato il primo a cadere e sarà l'ultimo a riprendersi. Con questa premessa le prospettive della Perla non sono affatto rosee e, in prima battuta dovrà dar fondo alle riserve, certamente abbondanti in alcuni settori, assolutamente no in altri. La stagione turistica, l'inizio e non solo, così come l'abbiamo conosciuta da sempre, per la prima volta nella nostra memoria, non ci sarà, e se ci sarà, non sappiamo quando. Ma questa realistica nera prospettiva impone pur delle riflessioni, forse anche oltre la contingenza. Prendiamo le cose buone che in questi giorni stanno accadendo. Improvvisamente è sparito il rumore di fondo, quello provocato dal traffico stradale che durante tutto l'anno ci disturba senza che noi manco ce ne facciamo più caso ed è pure sparito, anzi non nato, quello che in stagione turistica è provocato dalla navigazione eccessiva sul lago. Se apprezziamo questo cambiamento è bene che ne nasca una riflessione sul dopo. E' proprio impossibile non ritornare ai livelli precendenti del rumore da traffico ? Sarà difficile poter mantenere gli attuali livelli sonori, ma un qualche correttivo permanente è pur possibile, ad esempio imponenendo una bassa velocità nell'attraversamento urbano il livello di rumore scende e la sicurezza aumenta; ad esempio, introducendo una regolamentazione speciale della navigazione sul fronte delle Isole, il rumore pure può scendere; ad esempio, incentivando il rilascio delle licenze di trasporto lacuale non di linea, a favore di natanti a propulsione non convenzionale o con potenze più ridotte, i rumori possono scendere; ad esempio ancora e infine, incentivando il rilascio sempre di licenze di trasporto lacuale non di linea, a favore di soggetti associati in impresa, i numeri dell' attuale eccessiva flotta possono scendere, gli investimenti e i costi di produzione pure e i guadagni utili netti aumentare ed anche in questo caso i rumori si abbasserebbero di livello. Prospettive più o meno lunghe, certamente, ma almeno iniziare a parlarne e a sperimentare sarebbe bene e, guarda caso, sarebbero tutte misure apprezzate dal turismo in quanto aumenterebbero la qualità dell'ambiente. Insieme alla scomparsa del rumore, in questi giorni, compiamo un passo indietro nel tempo. Complici anche le belle giornate e il silenzio di cui ho fatto cenno, il paesaggio di lago, almeno per quegli aspetti che ho trattato, è ritornato ad essere quello che poteva essere addirittura prima della rivoluzione industriale, cioé ci viene restituita in un' immagine ottocentesca, aprendo una finestra nel tempo che a noi, vittime più che figli della rivoluzione informatica, mai sarebbe parsa possibile e che, salvo incredibili insensibilità, non può non stupirci. Questo momento reale di un passato diversamente virtuale o immaginario, ci deve aprire ad una riflessione profonda sul valore del paesaggio, sul dovere della sua conservazione, sull'attenzione da porre alle sue modifiche, troppo spesso decise e volute in funzione di quell'aumento forsennato del Pil che adesso vediamo dove è finito. Ne saremo capaci? Quando si esce da una guerra, si esce in modo diveso da come si era entrati; nulla mai è stato come prima ed anche questa volta, nulla poi dovrà esserlo. Quelli che però, più di ogni altra cosa sono spariti o meglio che oggi, giorno di S. Giuseppe, inizio canonico della stagione turistica, sono scomparsi sono proprio i turisti, i consumatori del servizio turistico che la Perla offre, o meglio offriva, quelli che con il loro consumo alimentavano il Pil locale. Il positivo di questo disastro è sempre la nuova, per verità bisognerebbe dire antica, immagine della Perla, restituita alla sua integrità originaria: scomparsa o quasi delle auto, sia in circolazione che in sosta, pochi temerari pedoni e ancora il silenzio e la luce padroni quasi assoluti. Al netto delle tragiche circostanze, ai nostri occhi si apre una cittadella che, per certi aspetti, vorremmo prendere come modello. Il problema parcheggi è risolto; ci voleva tanto ? Probabilmente sì. Ci vorrebbe tanto ? Probabilmente no, ma nessuno dei suoi ormai obsoleti anche se prorogati governanti ha avuto mai la capacità di farlo. Quanto invece all'aspetto più delicato, l'assenza forzata dei suoi principali clienti pagatori, questo è un avviso, forse anche qualche cosa di più. Cambiare il passo è il segnale che deve venire. La cittadella non si deve aprire soltanto quando la massa turistica comunque arriva e i numeri del Pil segnano i valori più alti. Ci vuole un freno da un lato e una continuità dall'altro. Se salta quest' anno, come salterà, la stagione tradizionale, occorre lo sforzo creativo, "aiutati e favoriti" da una metereologia mutata, per aprire il prossimo inverno con un modello turistico soft, assolutamente possibile e assolutamente necessario. Non lo descrivo qui perchè tante volte l'ho già descritto, andatevelo a rileggere. Intanto la prorogatio, quella che farà sopravvivere ormai tutto l'anno i non più degni e obsoleti governanti della Perla, incapaci non tanto di essere creativi, ma persino di garantire la legittimità amministrativa degli loro atti di governo, questa prorogatio c'è da augurarsi che faccia sì che qualche novità si affacci sulla scena delle possibili elezioni autunnali. Solo così e se ci sarà un vero cambio di generazioni e di intelligenze, lo scenario post bellico potrà essere gestito con una qualche speranza in più.

lunedì 16 marzo 2020

LE ROGAZIONI





Pratica diffusa nel passato, durante un lungo periodo di siccità che metteva a repentaglio i raccolti, la Chiesa chiamava i fedeli e con preghiere, processioni e benedizioni invocava la benevolenza divina perchè le pioggie tornassero e con esse i raccolti. E' una pratica andata in disuso, specie alle nostre latitudini e anche in altre, ma chi ha molte decine di tempo anagrafico alle spalle qualche cosa ricorda ancora. Funzionavano le rogazioni ? Onestamente non so, quel che certo è che ci credevano. Questa premessa per tornare velocemente ad oggi, quando le vie cittadine sono state irrorate con un qualche composto anti infettivo, una miscela micidiale nebulizzata contro gli invisibili corona virus che, qualora ci fossero stati, sarebbero stati sicuramente annientati. Peccato che nessuno ne abbia certificato una qualche capacità di raggiungere l'obiettivo, in quanto il virus non si anniderebbe nelle strade, ma semmai saremmo noi umani i naturali portatori e diffusori di questo piccolo killer di cui, peraltro, il nostro Borgomastro ci rassicura l'assenza locale, non dunque per effetto delle odierne "rogazioni". Rimane il motivo del rito di oggi, e che forse si protrarrà per alcuni giorni, una sorta di benedizione laica, più destinata a rassicurare gli ingenui che a produrrre effetti concreti, ma qualche cosa il Borgomastro pur doveva fare e gli sarà sembrata quella migliore e più visibile. Ci credo, ma non funziona. Così potremmo concludere, parafrasando alla rovescia un premio nobel in materia scientifica che teneva un ferro di cavallo sopra la porta del suo studio A chi gli chiedeva ragione, rispondeva: non ci credo, ma funziona.

venerdì 13 marzo 2020

AL TEMPO DEL VIRUS





Il nemico è forse arrivato varcando i confini d'Europa senza che nessuno lo abbia visto. Le tante, troppe, polemiche dei mesi e anni scorsi sull'invasione da parte delle truppe di migrazione, hanno lasciato prontamente il campo ad un'angoscia, prima ancora che ad una paura, per questo invasore invisibile, ma ben armato e, forse anche molto pericolo. In realtà non se ne sa molto; potrebbe anche non essere più di tanto pericoloso, ma siccome appunto se ne sa poco, prevale il principio della prudenza che in questo caso ha raggiunto o sta raggiungendo i livelli di uno stato di guerra. Pur non avendone avuta esperienza diretta,  una condizione di paese belligerante non sarebbe molto diversa. Ogni giorno c'è un bollettino che ci aggiorna sul numero dei morti, quello dei feriti e anche quello dei prigionieri, ossia di coloro che sono ridotti in quarantena. Mancano i numeri del nemico; essendo invisibile non si possono contare. Anche gli ospedali, almeno quelli più vicini al fronte, non sembrano in condizioni molto diverse da quelle che potrebbero esserlo se ospitassero feriti sul campo. Quanto al coprifuoco, ormai poco ci manca e l'ordine di starsene in casa scatta ogni volta che viene segnalata una qualche squadriglia di virus in arrivo sui nostri cieli, nel caso poi di uscita senza auto/permesso in tasca, pare prevista la fucilazione sul posto. Siamo alla battaglia di Inghilterra o poco meno. L'economia è convertita in economia di guerra,  impegnata in uno sforzo per la produzione di armi contro batteriologiche, mai come adesso. Si chiudono i settori economici ritenuti non solo superflui, ma anche possibili luoghi di azione di nemici infiltrati oltre le linee, turismo in primis. In tale situazione ci manca il razionamento dei viveri e il parallelo fenomeno dell'accapparamento, peraltro quest'ultimo già avviato. Detto così, l'analogia tra la situazione di guerra e l'attuale ci sta tutto. In più non si fanno previsioni su chi e quando vincerà. Si va da poche settimane a molte settimane per la conclusione del conflitto, ma nello stesso tempo si teme l'allargamento delle operazioni belliche ad altri paesi che entrerebbero in guerra quando noi potremmo forse uscirne e quindi per noi senza troppo giovamento. Tutto è ancora incerto, anzi incertissimo sull'evoluzione della curva statistica che ogni sera ci mostra l'andamento delle operazioni sul campo. Quel che è certo è che il Pil locale quest'anno non è che salirà dello 0,% , rischia di essere lo 0 assoluto. Ma di questa cosa ne parleremo un'altra volta.

lunedì 9 marzo 2020

SMART CITY II







Questo post potremmo chiamarlo: "Come si smontano le regole - manuale del cattivo amministratore pubblico". Voglio però precisare che il termine "cattivo" non ha alcun riferimento all'indole del/i soggetto/i chiamato/i in causa. Anzi, il più delle volte sono persone perbene, qualche volta persino bonarie, qualche altra volta sono in apparenza sgarbate,in realtà solo troppo serie. Sgombrato dunque il campo a giudizi di carattere personale, mi tocca affrontare il problema di merito e di diritto che ieri mi ero assegnato. I lettori dovranno avere molta pazienza, sin troppa, ma non è possibile semplificare tutto in poche righe. Raccomando quindi, semmai, la lettura a puntate.

Prendiamo dunque il nostro pezzo di città, normato, si fa per dire, dallo strumento urbanistico, che, con qualche correzione, dal lontano 1994, governa la "crescita" urbana. L'ambito è quello del Grand Hotel Borromee, ambito che va dalla statale, attraversa via Omarini e finisce oltre, cioè al confine di proprietà posto a monte. Dentro lì, normato appunto dallo strumento del 1994 e interessato in parte da vincoli e da norme anche sovracomunali, l'articolo 3.4 delle norme di attuazione (andatevelo a vedere) assegna una nuova capacità edificatoria al Grand Hotel, non per nuove camere alberghiere, ma per spazi comuni. Le quantità edilizie che vengono assegnate non sono poca cosa; sono 22.760 m.c. (per ora ne utilizzeranno solo poco più della metà) e le modalità attuative sono appunto espressamente previste attraverso la redazione di un piano esecutivo convenzionato. Specificità di tali piani e che essi devono prevedere i cosidetti standard da trasferire al Comune, devono insomma progettare e attuare a loro carico quel pezzo di città pubblica di cui prima ho fatto cenno. Standard vuol significare in primis parcheggi pubblici e aree a verde pubblico. E' dunque un onere preciso (la viabilità pubblica non è considerata uno standard, ma se occorre, i proponenti devono definirla o ridefinirla e farla, sempre a loro carico). Tutto ciò nasce dal principio di diritto urbanistico che ogni nuovo intervento edilizio deve concorrere, direttamente o indirettamente, alla costruzione ed al mantenimento della città. Quanti avrebbero dovuto essere gli standard nel caso in esame? Ce lo ricorda la convenzione approvata che li quantifica in una superficie pari all'80% dell'ampliamento della superficie utile lorda prevista del nuovo edifico, di cui almeno per 1/2 da destinarsi a parcheggio, la norma, opportunamente, precisa anche interrato, ed il resto a verde pubblico. Sono o meglio sarebbero 1.648 mq. riferiti all'ampliamento in progetto e quasi altrettanti se riferiti all'utilizzo totale della capacità edificatoria dell'area. Quindi circa 3.000 mq. complessivi Nel caso concreto vedremo che manco un metro di queste superfici viene chiesto e ottenuto, ma tutto viene monetizzato; un mantra, quello della monetizzazione, cui il governo ricorre tutte le volte che vuole, il che non vuol dire tutte le volte che lo possa. Ma c'è di più. Il piano presentato è carente in quanto non estende la sua progettazione all'intera area, la così classificata H3, come invece dovrebbe. L'articolo 43 della Legge Urbanistica Regionale consente infatti l'attuazione di un piano per parti, ma però il progetto deve riguardare l'intero comparto. Il governo invece accetta un piano monco, dimezzato nelle sue previsioni di standard, anzi azzerato, e quindi di quantità da dare alla città pubblica, ma quel che più è grave è che accetta un piano incapace di disegnare correttamemte e definitivamente l'ambito entro il quale tutte le previsioni possibili potranno andare a realizzarsi. E' un 'evidente irrazionalità. Come si giustifica il governo ? La giustificazione è debole, molto debole. Dice che il piano viene corredato da un planivolumetrico degli interventi edilizi futuribili, cosa che inizialmente manco c'era, ma sulla parte pubblica tuttavia questo planivolumetrico non prevede nulla. E' un errore grave, una sottovalutazione dell'importanza di un piano esecutivo, sottovalutazione compiuta baipassando una norma di legge che mi pare chiara e una previsione di piano regolatore che non aveva diviso l'ambito H3 in comparti e che quindi richiedeva una progettazione unitaria. E' un grande regalo semplificatorio per chi vuole costruire senza prevedere standard in misura uguale al necessario. Ma c'è di più. Il governo nel controdedurre le osservazioni, si picca di emettere sentenze, anzi fa il legislatore e ci regala tutto uno spiegone sul fatto che sì, il piano esecutivo è previsto nel piano regolatore, ma in realtà non dovrebbe essere previsto, quindi lui governo fa quello che vuole. Tutte balle, il piano regolatore è la legge speciale e deve essere in primis osservata. Poi, in una infinita giravolta di contraddizioni ci dice che anche via Omarini è lì, ma sarebbe meglio non ci fosse, (lo sappiamo bene) e allora preferisce che non venga toccata, anzi meglio lasciarla tutta rotta ( aggiungo io) perché bisogna che, dice sempre il governo, si pensi come riorganizzare la viabilità nella zona .... Ma benedetta gente, voi siete fuori di melone. Il piano esecutivo servirebbe proprio per questo e voi, di fatto, vi rinunciate perché ci dovete ancora pensare. Svegliatevi. E' l'irresponsabilità totale che diventa sistema di governo. Ma andiamo avanti; dopo aver capito che parlare di piano esecutivo, in questo caso, è un eufemismo. Una decisione saggia comunque la prendono e cogliendo uno spunto di un' osservazione, cancellano la realizzazione di una nuova tratta stradale tra via Boggiani e via Omarini trasformandola in una via esclusivamente pedonale. Qui però i soldi previsti nel piano e messi, lo riconosciamo, dal proponente per fare la strada veicolare, circa 190.000,00 euro, il governo se li tiene, ma li dirotta fuori dal piano, e affermando un'attenzione dovuta alla viabilità delle persone svantaggiate, lasciano via Omarini conciata come un percorso di guerra, guarda caso, mentre i soldi li spenderanno per rifare la pavimentazione del marciapiede, lato dx a salire dalla curva dell'Hotel Bristol al semaforo del Ponte Roddo; una delle tratte di marcipiedi meno ammalorate di tutta la cittadella. Sicuramente se ne sentiva il bisogno. Ma bruciati così un po' di soldi, ritorniamo alla questione standard. Senza pensarci troppo, anzi proprio per nulla, il governo decide di monetizzarli, cioé di trasformare in obbligo di versare denaro quello di cedere aree e fare le opere. Si sarebbe potuto farlo ? La risposta è sì, se. Ecco dietro questo se, ci sta la risposta al quesito. E' evidente che la monetizzazione rappresenta un'eccezione ad una regola e quindi necessita che il ricorso ad essa sia adeguatamente dimostrato per l'impossibilità di reperire gli standard in quell'ambito. Su questo abbiamo già visto che il governo, con quello spiegone iniziale, aveva mostrata tutta la sua insofferenza per l'esistenza del piano, e rinunciando poi a pretendere la progettazione unitaria dell'area si era rovinato da solo, e quindi quando arriva al punto della questione standard, i parcheggi e le aree a verde se le dimentica, o meglio non sa dove metterli. Dice il governo che non se ne possono fare né a monte, dietro via Omarini, tanto per intenderci, dove già ci sono, e neppure in altra parte del parco del Grand Hotel in quanto sottoposta a vincolo dal 1924, ma dimentica che il vincolo finisce con via Omarini. Forse il governo ha ragione sostenendo che il parcheggio di via Omarini avrebbe un qualche problema di accesso, ma non ha ragione a dire che altrove non sia possibile farlo, per esempio sotto il livello di quello che era il vecchio tennis, proprio in fregio a via Sempione e a margine cittadino, cioé dove in altra occasione il governo sostiene voler spostare i parcheggi per evitare il traffico urbano, così dirotta i soldi della monetizazione a quello previsto per il porto nuovo, e il traffico continuerà a transitare indisturbato per tutto l'estensione del lungo lago. C' é anche da dire che con lo sconquasso a cui è sottoposta tutta l'area interessata dal cantiere in corso, preoccuparsi dell'esistenza del vincolo del 1924 solo per un parcheggio sotto il livello stradale non parrebbe fosse il caso, senza dimentica poi le previsioni a verde pubblico, a cui manco si fa cenno dove metterle, e dulcis in fundo, quanto a tutela dell'area, non parliamo di quel bel gruppo di sane piante di alto fusto, poste a lato del Grand Hotel che, fatte salve nel progetto approvato, sono finite subito e senza tanti riguardi, sotto la scure dell'ordinanza del nostro Borgomastro, pochi giorni dopo l'apertura del cantiere. Vedete quante contraddizioni, quante illogicità manifeste, quante debolezze razionali ci stanno nei tentativi di dimostrare sempre e solo ciò che si vuole e non ciò che si deve. Ma vado avanti e mi avvicino alla conclusione di questo interminabile e noiosissimo racconto. Se si rinuncia agli standard, essi si monetizzano. Il criterio è quello dettato da una delibera Consiliare del 2006. Se il criterio sia in linea con quanto al proposito norma la legge regionale, onestamente non lo so, lo dubito in quanto la norma regionale è del 2013, mentre la delibera é del 2006. Comunque da lì saltano fuori un po' di soldi, relativamente pochi se rapportati all'investimento privato. Sono 329.000,00 circa euro, portati pure a scomputo degli oneri di urbanizzazione dovuti. Fate voi i conti se con questi soldi si può fare molto e fate voi i conti quanta sia stata l'utilità del proponente a non sacrificare manco un mq., ancorchè sotto la superficie, diversamente da destinarsi al Comune. Alla fine però il gioco è fatto, il piano regolatore, per la parte pubblica, è buttato nel cestino, il governo fa e disfa come vuole (si fa per dire), rinvia sempre ogni soluzione alla successiva occasione, però perde ogni occasione l'una dietro l'altra, non porta a casa neanche un centimetro quadro di città pubblica, giustifica tutto applicando la regola della illogicità permanente e manifesta e alla fine, anche in questo caso, applica a favore dei soliti noti uno sconto a saldo di fine mandato.


Così la cittadella al tempo del virus.

sabato 7 marzo 2020

URBANISTICA SMART








Oggi ci tocca dare un'occhiata ad una delle ultime, se non in ordine di tempo, certamente di conoscenza, operazioni urbanistiche compiute dal locale governo a guida Borgomastro. Ce ne saremmo dovuti occupare molto tempo prima, ma il proverbiale ritardo con cui gli atti vengono messi a disposizione del popolo, non ci hanno consentito di farlo. Lo facciamo adesso a cantieri aperti a tutto regime. Per verità non è neppure vero che prima di oggi non ce ne siamo occupati; a suo tempo avevamo prodotto le nostre e non solo nostre osservazioni che, a dispetto di quanto scrivono il Borgomastro e soci nelle loro decisioni di governo, nella sostanza non sono state prese in pressochè alcuna considerazione. Pazienza, siamo in buona compagnia. Ma andiamo al sodo, cioé a quel piano urbanistico esecutivo, così si chiama, che avrebbe dovuto accompagnare l'ampliamento in corso del Grand Hotel Borromee.Un affare consistente, mica quattro soldi, molti milioni di euro che andranno ad arricchire l'offerta di alta gamma che la Perla Alberghiera presenta alla sua utenza. Molto bene; ma quali erano le condizioni a cui la legge urbanistica locale, seppur nata in tempi sospetti, subordinava questo affare ? La stesura e l'attuazione appunto di un piano esecutivo che, insieme alla città privata vedesse crescere anche la città pubblica. La legge locale sarà pur stata emanata in tempi sospetti e a colpi di provate consistenti mazzette ( tutti, o quasi,  dovrebbero ricordarselo molto bene anche se non ci pare, salvo errore nostro, che in questo specifico caso ne fossero corse), ma almeno in punto era onesta, cioè demandava al privato l'onere di concorrere alla formazione di quella città pubblica entro la quale la città privata voleva crescere ancora. Il seguito di questo post dimostrerà invece che l'operato del Governo Borgomastro e soci ha inteso smontare quello che di buono la legge locale conteneva, smantellando, è proprio il caso di dirlo, pezzo a pezzo, la costruzione della città pubblica che avrebbe dovuto crescere insieme a quella privata. Andiamo dunque per ordine, ricordando però che questa sistematica operazione di smantellamento è in corso da tempo, non è certo un'invenzione di questo Governo, ma aveva già visto all'opera Canio durante la sventurata " Zanetta" ,ed aveva avuto, prima e durante lui, illustri esempi, vedi Palma I e Palma II e Lasio, vedi Bristol risalendo un po' nel tempo, ed è continuata nel dopo Canio con l'operazione" Gabbiola", quella "Ostini", le varie operazioni conclusive di Villa Aminta, sino ad approdare a quest'ultima oggetto del nostro focus odierno. Una persino ingenua volontà di far cassa, di monetizzare, come in linguaggio un po' più tecnico correttamente si dice, tutto quanto possibile ed impossibile, illusoriamente pensando di costruire una città pubblica a loro immagine e somiglianza, ma che nessuno conosce, in realtà rinviando all'infinito decisioni già scritte e sovvertendo il Piano Regolatore che viene azzerato nelle sue previsioni pubbliche. Non c'è che dire; immaginare il Borgomastro diventato urbanista per caso e un Professore emerito insignito di laurea ad honorem impegnati in questa operazione non fa ridere, fa piangere. Ma come è possibile che questa operazione di smantellamento sia stata e sia in corso nonostante la legge vigente? E' quello che cercherò di spiegare con un po' di pazienza per chi legge, proprio con riferimento all'ultima operazione, quella del Grand Hotel. Incominciamo: ma questo ve lo spiego la prossima volta.

mercoledì 4 marzo 2020

L'IMPERIZIA




Prime indiscrezioni filtrano attraverso le sempre più spesse mura del Palazzo e riguardano, questa volta, i contenuti della super perizia che, a quasi un anno dagli eventi che rovinarono la festa, mostrarono le vistose crepe del sempre nuovo e già vecchio porto. Dopo un anno dunque, mentre ufficialmente tutto tace, le indiscrezioni qualche cosa fanno trapelare. Purtroppo, e non ce ne voglia il Borgomastro, se quelle indiscrezioni verranno poi confermate, temiamo che le cause e le relative soluzioni forse non siano state ben individuate. Purtroppo un più che eloquente filmato di quegli eventi, frutto della attenta regia del nostro Gemelli, non pareva, così come non pare lasciare tanti dubbi al perchè e al percome: se il lago è in magra e il vento si alza, il moto ondoso passa sotto la diga foranea. Eppure non sembra che la superpezia sia andata in questa direzione che avrebbe, forse, dovuto indicare la responsabilità di qualche vivente, mentre sembrerebbe, il condizionale è mai come in questa occasione d'obbligo, sembrerebbe che la causa di tutto sia da individuare, oltre che nel dio Eolo, anche in quell'opera di difesa posta sul lato destro entrando della bocca di porto. E' stata la prima opera ad essere realizzata, quando nel secolo scorso, erano iniziati i lavori del porto infinto. Ebbene, dopo vent' anni, morti tutti i responsabili, sarebbe la causa del disastro. Stentiamo a crederlo, ma sarebbe proprio quest' opera di difesa l'origine del male, male che, aggiungerebbe la superperizia, con una stima di spesa di circa 350.000,00 euro potrebbe essere vinto. Per ora fermiamoci qui, sono indiscrezioni, niente di più e seppure lo abbiamo chiesto, sarà molto difficile che il nostro Borgomastro esaudisca i nostri desideri a rendere pubblica la superperizia prima che il popolo voti. Al momento poi è molto incazzato nei riguardo di queste paginette per le cronache che scriviamo. Però vogliamo anche essere propositivi e allora dare un consiglio. Poiché non crediamo che la soluzione dei guai del porto sia quella che trapela e quindi campa cavallo, per evitare rimanga per almeno un 'altra stagione turistica vuoto e inutilizzato, lo si apra parzialmente al solo utilizzo per soste brevi: orarie, giornaliere e notture. Se e quando poi il lago andrà in magra il porto verrà chiuso senza problemi. Insomma, per ora, sarebbe meglio che niente.    

lunedì 2 marzo 2020

IL PARCHEGGIO INVISIBILE




Le recenti tardive pubblicazioni all'albo elettronico del Palazzo, rivelano, pian piano, vizi e virtù nascoste dietro quelle spesse ma anche troppo spesso invalicabili mura, dentro le quali sono al lavoro da oltre 40 anni i soliti noti. Oggi parliamo dell'ampliamento o meglio rifacimento con ampliamento di Villa Ostini e la sua trasformazione in albergo di alta classe. Previsto nel piano regolatore grazie alla forse più lauta tangente versata all'epoca della formazione del piano, dopo la ultima cessione della proprietà dell'immobile e un non eccessivo lungo iter, ha ottenuto tutti gli ok perchè il sogno degli attuali proprietari possa diventare realtà. Ne siamo contenti. Dopo però il canonico periodo di gestazione durata otto mesi, sono ora noti i contenuti della convenzione messa all'albo e che il nostro governo ha autorizzato a sottoscrivere con la proprietà. Ci limitiamo ad osservare quella riferita all'obbligo di realizzare e cedere parcheggi pubblici. Dobbiamo premettere che la norma scritta nell'articolo 3.5 delle norme di attuazione del piano regolatore, versione ultima, seppur non eccelle nella tecnica redattiva, tuttavia con un qualche sforzo interpretativo crediamo di comprenderela e arriviamo a queste conclusioni: 1) Obbligo di realizzare standards pubblici pari al 100% della superficie in ampliemento dell'edificio. 2) Obbligo di destinare almeno il 50% dello standard, non monetizzabile, a parcheggio pubblico, di cui almento 1/3 interrato. Si aggiunge che il loro asservimento ad uso pubblico potrebbe essere solo parziale, ma su decisione del Comune; in assenza debbono transitare in diritto, come è ovvio, al Comune, non il rovescio come sembra abbiano inteso. Ci pare che il quadro normativo sia abbastanza definito, ma se questo è, il governo decide di non decidere e stila una convenzione in bianco che è un esempio eccelso di ignavia e di consapevole lassismo decisionale. Infatti decide, questo sì, che vuole tutta, o quasi, la superficie a standard sotto forma di parcheggi, ma poi ignora che essi devono essere realizzati per almeno 1/3 in interrato sul lotto e, rinviando a tempi migliori, non si sa quali, una qualche decisione, si impunta e non vuole che siano realizzati nel perimetro del lotto della Villa, ma dove? Questo nessuno lo sa; monetizza in 254.000,00 euro il valore dell'eventuale parcheggio, cioé a raso, ignorando però l'obbligo di farlo interrato, almeno in parte, e quindi ecco qui un altro supersconto, ma in tempo di saldi per fine mandato ci sta e quanto al dove, qui ilo mistero rimane e pensiamo che non verrà svelato, sempre che lo possa essere, molto presto. Che dire ? Non pubblicare o quasi, ma poi quando si pubblica scoprire che le cose stanno scritte in bianco e che il periodo di saldi continua, questo forse è troppo ed è una corsa contro il tempo per vendere la città al peggior offerente. Ci compiaciamo comunque per la capacità che ancora una volta il nostro Arcistar ha dimostrato nel sapere gestire con arte e sapienza un'altra delle questioni affidate alla sua mediazione, dove la sintonia e la vicinanza con i governanti e la comune cultura locale, beni supremi, danno sempre i migliori frutti; basta saperli cogliere.